Che vita mai, che gioia senza Afrodite d’oro?
Ch’io sia morto quando più non mi stiano a cuore
l’amore segreto, i dolci doni e il letto:
questi sono i fiori della giovinezza, desiderabili
per gli uomini e le donne. Quando poi dolorosa sopravviene
la vecchiaia, che rende l’uomo turpe e cattivo,
sempre nell’animo lo corrodono tristi pensieri;
e di vedere i raggi del sole non gioisce,
ma è odioso ai ragazzi e in dispregio alle donne:
così penosa fece il dio la vecchiaia.
Mimnermo fr. 7 Gent. – Pr
L’amore è cosa di corpi.
Non mi riferisco solo al sesso, naturalmente.
Parlo della natura omogenea di quel che dal corpo imprescindibilmente scaturisce, tramite il corpo attrae, al corpo lega e senza il corpo non sussiste. Natura corporea tanto nella compresenza quanto nella lontananza, nell’incontro e nella mancanza, nel bisogno di percepirsi coi sensi, vedersi, toccarsi, odorarsi o nel vagheggiare di farlo durante l’assenza.
Parlo dell’indispensabilità dell’aversi fisicamente accanto, bisogno mai soddisfatto, che é la scaturigine e il coronamento di ogni gioia per l’amante, che è consustanziale all’amore, che in definitiva “è” l’amore tra mortali, finché possiamo con qualche ragione chiamarlo tale.
Ogni legame tra viventi privo di questo costituente o che non l’abbia al centro potrà essere chiamato in molti modi diversi ma non meriterà mai il nome che, unico, va riservato all’Amore.
Chi ha tenuto in braccio un figlio piccolo, si è riempito del suo contatto, del miracolo della sua carne viva e poi, con il tempo, della sua voce, del suono dei suoi piccoli passi, sa con certezza che il corpo del figlio, la sua autonoma natura fisica ben prima che si sviluppino interazioni più complesse, è l’oggetto unico e sufficiente del proprio amore. E sa altrettanto bene che con il mutare di quel corpo anche l’amore muterà e che dopo essere cresciuto a dismisura inizierà ad affievolirsi, mano a mano che quel corpo prenderà le distanze da quello che un tempo abbiamo amato, dapprima lentamente (e noi ci ribelleremo con forza a questo) e poi più velocemente fino a diventare, quando massima sarà la lontananza, affetto, ricordo, nostalgia.
L’amore è una cosa da giovani.
Il clima che gli è maggiormente propizio è quello degli anni in cui la realtà si legge col corpo. Il terreno che più gli è congeniale è l’agio con cui lo si abita.
Quando, con l’ottundersi e lo spegnersi progressivo del corpo noi usiamo dire che l’amore si trasforma, vestiamo di panni ipocriti l’indicibile, la constatazione di morte.
Quel che lo sostituisce, ammesso che qualcosa venga a farlo, che sia consuetudine o comunanza di sentire, condivisione di ricordi o affiatamento, è altro e ha diversa natura.
La benevolenza, la stima, il cameratismo, l’amicizia, la dolcezza, la comprensione, la dedizione, la complicità, la fratellanza, la vicinanza, sono tutti sentimenti stimabili, preziosi, indispensabili alla vita ma non potranno mai usurpare il posto del grande scuotitore.
Troviamo il coraggio di dirlo. Quando non ci manca il corpo dell’amato o dell’amata, quando non moriamo, vedendolo, dalla voglia di respirarlo, di mangiarlo, di averlo addosso, quando quel corpo non guarisce ogni male, quando non sostituisce senza fatica le parole rendendole vane, quando i fondamenti delle nostre unioni divengono le cointeressenze, i ricordi e le comunanze, ci troviamo di colpo in un diverso territorio la cui distanza dall’amore si quantifica con la stessa unità di misura con cui si calcola quella che sta tra una pacca sulla spalla e un bacio fremente.
Dovremmo lasciarci liberi, quando questo accade. Tornare alla solitudine in cui già stavamo prima che l’amore ci portasse in vita. Non è obbligatorio, certo, ma sarebbe più serio e meno crudele che travisarlo usandone il nome per chiamare i suoi imitatori, i suoi insufficienti sostituti.
👍🏻👍🏻👍🏻
Che spreco di vita, quanto sacrificio, per non avere il coraggio di ammetterlo.