LASCIARE ROMERO

Al momento S. ed io eravamo le uniche a sapere della fine dell’amore tra Giulia e Romero.
Giulia stessa ci aveva confessato tutto al secondo negroni e al terzo si era gettata praticamente ai nostri piedi supplicandoci di cavarla di impiccio. La sua storia meravigliosa, iniziata due anni prima, era naufragata da ventitré mesi, dieci giorni e qualche ora: da quel momento la poverina non aveva fatto altro che cercare un modo per comunicare l’avvenuto decesso al fidanzato. L’operazione non sarebbe risultata così difficile se non fosse stato per il piccolo problema che Romero aveva con gli abbandoni. In paese ancora si raccontava di quando aveva aggredito il netturbino che portava via la sua immondizia e in molti giuravano che officiasse un elaborato rito funebre ogni qual volta doveva separarsi dai calzini usati per abbandonarli al gorgo nero della lavatrice.
Purtroppo G. ed io, indotte dall’etanolo ad una funesta sottovalutazione del pericolo, avevamo risposto che, per carità, ci mancava, avremmo preso in mano noi la situazione e avremmo risolto tutto in men che non si dica.
Quando la mattina dopo il paracetamolo aveva iniziato a fare il suo mestiere, ci eravamo rese conto di esserci ficcate in un guaio. Peccato che una promessa è una promessa e a quel punto avevamo il dovere di applicarci al meglio.
L’idea alla fine ce l’aveva data una confessione piccante che proprio Giulia ci aveva fatto la sera precedente in preda alla disinibizione alcolica. Pareva che Romero riuscisse a consumare rapporti sessuali solo sulla balaustra del balcone di lei dopo averlo scalato. Mille volte Giulia lo aveva supplicato di non fare così, lo aveva invitato a prendere l’ascensore, gli aveva riferito di come il problema fosse già stato ripetutamente sollevato in occasione dell’assemblea di condominio.
Senza il sesso l’amore muore ci eravamo dette. Si trattava di impedire il rito dell’accoppiamento aereo e la parola fine si sarebbe pronunciata da sé.
“Se imbolsiamo Romero e lo rendiamo meno ginnico la scalata gli riuscirà impossibile!” aveva esclamato S.
“Questo gli ammoscerà l’entusiasmo e Giulia sarà nel suo buon diritto dichiarando nulla l’unione per mancata copula acrobatica!” avevo concordato entusiasta.
Grazie alla complicità di amici comuni organizzammo una serie di cene ad alto contenuto gluco-lipidico a cui Romero non mancò mai di essere invitato. Dopo circa un mese lo vedemmo passare in strada e giudicammo che strabordasse dalla cintura in maniera sufficiente a rendere improbabile la performance ascensionale del primate in amore.
Purtroppo dopo pochi giorni sapemmo di aver colto nel segno.
“Oh Romero, Romero, perché sei giù, Romero?” aveva finto di disperarsi Giulia rivolgendosi al pingue amante incollato al piano strada. Sudato e tremolante Romero dabbasso piangeva, come un cacio cavallo che scopre di non essere libellula.
Ma era destino che il nostro stratagemma fosse destinato a fallire.
Vedendo dileguarsi il suo grande amore, il cappone, in un ultimo impeto testosteronico si era trasformato ancora una volta in aquila e in uno sforzo titanico era riuscito chissà come a superare i metri che lo separavano dalla sua Giulia. Nella furia di passione che ne era seguita il vetusto balconcino era poi crollato sotto i poderosi colpi del ponderoso amante e i due ne erano rimasti uccisi.
Quelli erano stati i frutti nefasti del nostro fallace metodo per metter fine alla loro unione.
Una triste pace aveva portato con sé la mattina seguente: il sole, addolorato, non aveva mostrato il suo volto poiché mai vi era stata una storia così piena di dolore come quella di Giulia e del suo Romero.