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L’imbottito 

Sempre caro mi fu sto capocollo, 

pieno di pepe, e che sia parte 

di un gracile bisonte il lardo esclude.

Ma sedendo e mangiando, mai terminati 

sazi al di là di quello e sovrumani

rimpinzi, e remotissime diete

io dispensier mi fingo, ove per poco

odor non si svapora. E corpulento

odo servir pasto abbondante, io quello 

infinito rimpinzo a questa voce

vo comparando: e mi sovviene il rigoverno,

e una quattro stagioni, l’onnipresente

oliva, polenta e osei. Così tra questa

immensità s’annega il pensier mio:

e naufragar nel dolce come fosse un mare. 

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Lo sfinito

Sempre caro mi fu sto letto a molle,

e ci si siede, con così tanta arte 

che chi vi lascia impronte mi delude.

Ma sdraiando e scorrendo, interminato

ozio e pennichella,  e sovrumani  

silenzi, e profondissima quiete

io in un manier mi fingo, ove anche poco

rumor é una iattura. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io ch’ero

assopito sentenzio e con la voce

vo cristonando: e lodo ognor l’Eterno,

e i santi maneggioni, e mamma sua 

giuliva, e gli altri dei. Così nella

comodità s’allieta il sogno mio:

e il ronfar m’é dolce sul guanciale.

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L’Infoiato

Sempre amaro mi fu il pisello molle,

ché amo il pepe, e prediligo l’arte

che l’accoppio col bisonte non esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati 

cazzi al di là di quello, e sovrumane

licenze, e dotatissimo ariete

io nel pensier mi spingo, ove per poco

l’hardcore non si spaura. E piú di cento

sogno acquisir tra queste gambe, io

e su ognuno sentenzio e al ligneo noce

lo vo comparando: e mi sovvien lo scherno

per le morte enfiagioni e l’aspettativa

viva, e il suon degli imenei. Cosí tra queste

amenità s’annega l’onor mio:

e il naufragar m’é dolce al lupanare.

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L’infradito

Sempre duro mi fu sto prato a zolle,

che è tutto crepe, e con cotante scarpe 

aperte retro e fronte il cardo é rude.

Ma sedendo e mirando, interminati

strazi del dito che si spella, con ‘sti calzari 

corinzi e aghi d’abete

io con gli scarpon mi fingo, onde né spino 

né calor fa più paura. E piú non sento 

abbrustolir queste mie piante e le ciabatte 

licenzio e questi solo 

vo comperando: e il piede mio governo, 

passate le abrasioni, e il callo 

che bolliva, spunzoni ed aculéi. Così con queste

estremità percorro il sentier mio:

e il saltellar m’é dolce senza mai cascare.

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Linfocito

Sempre riparo vi fu il tessuto molle,

ma germi siete e tanta é la mia arte 

che anche l’ultimo infettante non s’illude.

Ma sentendo e scovando, contaminati

spazi forse da legionella, risposte immuni

innanzi che precedono il diabete

io un antisier mi fingo, che basta poco

che il covid ci si cura. E ben sto attento

se sento febbrile questo sangue, io quella

risposta potenzio anche precoce

sempre infiammando: a scatenar l’inferno, 

e son morte infezioni, al dente 

e alla gengiva, ai peritonei. Così tra questa 

immunità s’abbatte viremia: 

e il guarir m’è dolce da ogni male.