L’imbottito
Sempre caro mi fu sto capocollo,
pieno di pepe, e che sia parte
di un gracile bisonte il lardo esclude.
Ma sedendo e mangiando, mai terminati
sazi al di là di quello e sovrumani
rimpinzi, e remotissime diete
io dispensier mi fingo, ove per poco
odor non si svapora. E corpulento
odo servir pasto abbondante, io quello
infinito rimpinzo a questa voce
vo comparando: e mi sovviene il rigoverno,
e una quattro stagioni, l’onnipresente
oliva, polenta e osei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e naufragar nel dolce come fosse un mare.
_______________________________________
Lo sfinito
Sempre caro mi fu sto letto a molle,
e ci si siede, con così tanta arte
che chi vi lascia impronte mi delude.
Ma sdraiando e scorrendo, interminato
ozio e pennichella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io in un manier mi fingo, ove anche poco
rumor é una iattura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io ch’ero
assopito sentenzio e con la voce
vo cristonando: e lodo ognor l’Eterno,
e i santi maneggioni, e mamma sua
giuliva, e gli altri dei. Così nella
comodità s’allieta il sogno mio:
e il ronfar m’é dolce sul guanciale.
______________________________________
L’Infoiato
Sempre amaro mi fu il pisello molle,
ché amo il pepe, e prediligo l’arte
che l’accoppio col bisonte non esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
cazzi al di là di quello, e sovrumane
licenze, e dotatissimo ariete
io nel pensier mi spingo, ove per poco
l’hardcore non si spaura. E piú di cento
sogno acquisir tra queste gambe, io
e su ognuno sentenzio e al ligneo noce
lo vo comparando: e mi sovvien lo scherno
per le morte enfiagioni e l’aspettativa
viva, e il suon degli imenei. Cosí tra queste
amenità s’annega l’onor mio:
e il naufragar m’é dolce al lupanare.
_______________________________________
L’infradito
Sempre duro mi fu sto prato a zolle,
che è tutto crepe, e con cotante scarpe
aperte retro e fronte il cardo é rude.
Ma sedendo e mirando, interminati
strazi del dito che si spella, con ‘sti calzari
corinzi e aghi d’abete
io con gli scarpon mi fingo, onde né spino
né calor fa più paura. E piú non sento
abbrustolir queste mie piante e le ciabatte
licenzio e questi solo
vo comperando: e il piede mio governo,
passate le abrasioni, e il callo
che bolliva, spunzoni ed aculéi. Così con queste
estremità percorro il sentier mio:
e il saltellar m’é dolce senza mai cascare.
__________________________________________
Linfocito
Sempre riparo vi fu il tessuto molle,
ma germi siete e tanta é la mia arte
che anche l’ultimo infettante non s’illude.
Ma sentendo e scovando, contaminati
spazi forse da legionella, risposte immuni
innanzi che precedono il diabete
io un antisier mi fingo, che basta poco
che il covid ci si cura. E ben sto attento
se sento febbrile questo sangue, io quella
risposta potenzio anche precoce
sempre infiammando: a scatenar l’inferno,
e son morte infezioni, al dente
e alla gengiva, ai peritonei. Così tra questa
immunità s’abbatte viremia:
e il guarir m’è dolce da ogni male.