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Lo sapevo già salendo le scale che questa volta sarebbe finita male e infatti non ho ancora nemmeno iniziato a pensare a qualche contromisura che entro in cucina e ti trovo papà che se va bene viene a pranzo una volta ogni cent’anni e oggi ha pensato che fosse il giorno perfetto per essere qui ad aspettarmi e sembra pure in una delle sue giornate peggiori a giudicare da come guarda dentro al piatto che sembra Joe Bastianich di Masterchef quando una cosa lo schifa proprio e sta per fare a pezzetti il concorrente.
Ora voi direte che forse è meglio non confessare nulla e attendere momenti più propizi per cantarsela ma questo non è possibile proprio, porchissima pupazza. Perché quella gallina della mamma di Daniel non aspetterà mezzo minuto per telefonare qui dopo aver visto la sua povera creatura con gli occhi rossi e quasi accecata come il gigante di Ulisse, Polifebo o come si diavolo si chiamava. Che poi, diciamocela tutta, cosa vuoi che siano due dita negli occhi. Il fortunato tra i due è sicuramente lui che stasera non avrà più nulla mentre io probabilmente sarò già passato a miglior vita. Comunque due dita negli occhi erano il minimo che gli toccava per aver osato insinuare che quel rigore il portiere me l’aveva lasciato segnare apposta perché io gli piaccio un po’. Intanto i gusti del portiere sono affari suoi e poi io sono un grande centravanti e chi osa negarlo come minimo gli cavo gli occhi. Giustappunto.
Sono ancora lì che mi schiarisco la voce e penso a quanto coraggio ci voglia per lasciare la vita a dieci anni, quando il maledetto trillo del cordless fa sobbalzare il genitore ombroso che si versa sui pantaloni puliti un generoso cucchiaione di minestra e prorompe in una di quelle paroline che se la dico io vengo scartocciato come un chupa chups. La conversazione dura meno di due minuti e la voce tenebrosa di papà pronuncia solo due volte le parole “ha ragione signora”. Butta male. La condizionale me la sono bruciata con quella storia dell’altra settimana dell’astuccio incendiato, una vecchia faccenda che però sono certo che se la sono legata al dito. L’istinto di scappare è potente ma io attendo il mio destino che sembro un Avenger che deve difendere il mondo dalle forze del male.
Quello che segue non voglio raccontarlo per nessun motivo perché sono cose che nel terzo millennio non dovrebbero più succedere in nessun paese civile e sono contro la carta dei diritti dei bambini e le leggi dell’Europa e forse dell’intero sistema interplanetario.
Ma una cosa è sicura. Stavolta il tiranno non la passerà liscia. Non so ancora come ma mi vendicherò, quant’è vero che ho il tiro destro più potente di tutto il plesso scolastico “Pietro Micca” e quanto è vero che Hulk è di gran lunga più forte dell’uomo roccia.
Mentre sono chiuso in castigo nella mia stanza con la testa che mi fa male dal troppo piangere (anche i centravanti piangono e lo possono testimoniare tutti quelli che se ne intendono anche poco) mi viene in mente una cosa brutta di cui abbiamo parlato in classe stamattina che, a ripensarci bene, mi suggerisce un ideuzza niente male. Mi serve solo il cellulare che l’aguzzino e la sua ganza mi hanno sequestrato (io lo vedevo che alla mamma un po’ dispiaceva ma sempre la sua ganza resta che se no non si metteva con uno così che quando gli gira sembra Hannibal Lecter). Siccome io so benissimo dove lo nascondono, aspetto che l’australopiteco (fantasia scarsa, fronte bassa, occhi vicini) torni al lavoro e che mamma vada in bagno. A quel punto, con furtivo passo da coguaro, entro nella loro stanza e me lo riprendo dal cassetto del comodino dove il troglodita che si crede astuto tiene i preservativi e il materiale ingiustamente sottratto alle sue vittime. Compiuta la missione mi sdraio sul mio letto e mi metto alla ricerca di quella fotografia dell’estate scorsa, scattata quando avevo la febbre. Eccola qua. E’ perfetta. L’ipocrita che finge di volermi bene e mi tiene il braccio sulla spalla guardandomi con aria seria e io che fisso l’obiettivo tutto rosso con gli occhi lucidi che metto proprio pena. Di meglio non si poteva trovare.
Ora mi connetto ed entro sul profilo Facebook dell’ignaro che la sua password l’ho imparata almeno un anno fa (è il mio nome, prevedibile dilettante). Posto la foto e aggiungo una didascalia melodrammatica: “guardate questa foto oggi con un sorriso perché domani potrebbe farvi piangere”. Missione compiuta. Ora cancello la foto dal cellulare e lo rimetto al suo posto aspettando la nuova visitina in bagno della mamma che, si sarà capito, è una gran pisciona. Per uscire dalla stanza stavolta mi esibisco nel passo dell’iguana proprio come ho visto ieri in “Animali Silenziosi” sul National Geographic Channel.
Non mi resta che aspettare qui recluso che vengano a perdonarmi e intanto mi rifaccio tutta Juventus-Real Madrid a occhi chiusi e con la bocca faccio la tifoseria assatanata. Olè.
In classe alla prima ora del giorno seguente si realizza la seconda parte del mio diabolico piano che neanche Moriarty se lo sarebbe pensato così micidiale. Come preannunciato oggi dobbiamo fare un lavoro sulla sconvolgente storia del padre che negli stati uniti ha pubblicato la propria foto su facebook con la bimba in braccio e il giorno dopo zacchete, l’ha fatta fuori. La maestra parte con il solito pistolotto sull’uso distorto delle tecnologie e sull’ebisizismo, ebilizionismo mediatico o come diavolo si dice. Ci stiamo accingendo a iniziare il componimento in classe sull’argomento quando giunge il momento di dare il via alle danze. Attacco facendo uno sguardo vuoto e fisso il muro come un fuori di testa. Tempo due minuti la maestra se ne accorge, anche perché tutti scrivono e io sto lì con l’aria bollita. La premurosa docente subito si avvicina e chiede cosa mi succede. Niente niente dico io. Dimmi la verità dice lei. Allora io balbetto qualcosa ma lo faccio a bassissima voce così lei si agita, si avvicina con l’orecchio e me lo fa ripetere. Dico che anche mio padre mi ha fatto una foto così. La balenottera comincia a sudare e vorrebbe chiedermi di spiegare meglio ma la classe comincia a guardare e a distrarsi così si risolve a chiamare la bidella e la lascia a guardia degli scolarucci mentre noi usciamo fuori. Uno scambio di frasi e siamo dalla preside. Mi danno una gomma e io mastico mentre tutti si agitano e telefonano e dicono cose tipo stiamo calmi. Dopo un’oretta arriva un tipo travestito da giovane con i capelli lunghi che dice di essere un poliziotto postale. Cosa fa un poliziotto postale? Arresta quelli che non mettono il francobollo sulle lettere? No. Indaga sulle robe brutte che succedono su internet. Si mette al computer della presidenza e senza sapere la password in un attimo è sul profilo internet di papà. La foto è la prima cosa che appare. Tutti fanno ooohhoooo e poi allungano il collo e qualcuno legge la didascalia ad alta voce.
Dio mio dio mio dio mio comincia a ripetere la maestra. Mentre lei continua a chiamare il dio suo il postino poliziotto comincia a fare telefonate. Tutti quelli che passano mi accarezzano. Dopo tutta la mattina in presidenza mi lasciano andare a casa insieme ai miei compagni che tentano invano di estorcermi qualche informazione ma io sono silenzioso come Pirlo, l’uomo che parla con i piedi.
Salendo le scale sento che oggi andrà meglio di ieri. E infatti ad aspettarmi c’è solo mamma che ha gli occhi rossi ma mi fa un bel sorriso. Papà oggi non viene perché starà via qualche giorno. Vendetta è compiuta. Non dovevi sfidare un centravanti Avenger che difendeva solo il suo onore, energumeno senza cervello. La cucina è piena del profumo del sugo di mamma che è il più buono del mondo. Io chiudo gli occhi e proprio in quel momento Llorente su assist di Cacerea incorna e fredda Casillas. Lo stadium impazzisce e io modestamente sono capace di fare con la bocca il boato della folla che ti sembra proprio di esserci.