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Non era stato facile trovare tutte quelle agende del 2013. Per fortuna la cartoleria sotto casa, l’ultima in cui avevo guardato, ne aveva ancora una quindicina che le erano rimaste sul groppone. La signora, quando le avevo detto che le prendevo tutte io, ancora un po’ non si metteva a piangere dall’emozione. Luisa e Clara si erano incaricate di trovare i festoni e se l’erano cavata alla grande. Nella casa di campagna avevano recuperato tutte le decorazioni del capodanno precedente ancora intatte e una scritta gigantesca di carta che diceva “ADDIO 2012”. Quando me l’avevano detto m’era ritornato in mente quel capodanno che, mamma mia, a ripensarci. Mi ero addormentato ubriaco che saranno state le dieci e i bastardoni mi avevano lasciato sulla quella poltrona tutta la notte. Mi ero svegliato con un bel raffreddore e un mal di testa che mi era passato verso carnevale. Comunque niente di strano: tutti lo sanno che nessuna festa di capodanno è mai stata divertente. L’una per l’altra sono invariabilmente una schifezza, un groppo dentro, una specie di amarezza dolciastra che non vedi l’ora di atterrare nel giorno dopo e non pensarci più. Stavolta però, forse avevo trovato il modo di rompere la tradizione e passare una festa diversa da tutte le altre.
Ognuno aveva pensato ad un diverso particolare. Il genio dell’informatica aveva trafficato sul computer per giorni e ora aveva più di quattro ore di materiale tutto riversato su dvd. Al giornale aveva pensato Carmen che ha il nonno che li compra tutti e li mette via praticamente senza leggerli. Nessun particolare era stato trascurato.
Gli invitati arrivarono tutti un po’ prima per controllare ogni cosa. Ispezionarono la casa, fecero scomparire tutto quello che doveva scomparire, regolarono tutti i telefonini, tutti gli orologi e tutti i computer di casa. Spensero il router del wi-fi. Qualcuno perfino uscì di nuovo per fingere di arrivare più tardi. Poi verso le otto e mezza, finalmente, fece la sua entrata Arturo.
Arturo non è quello che si dice un fulmine di guerra. E’ una brava persona, che conduce una vita regolare e un po’ banale, senza un guizzo, senza mai un colpo di testa. Era nostro collega da quasi due anni e mai che gli avessimo sentito fare un accenno a qualcosa che uscisse dalla più assoluta routine. Se si faceva una battuta un po’ piccante o anche solo un po’ surreale, Arturo non rideva e non perché la disapprovasse, ma semplicemente perché non capiva e non concepiva nulla che non fosse più che reale e tangibile. Un mese prima del nostro Capodanno avevo cominciato a farmi l’idea che fosse il soggetto ideale per una festicciola proprio fuori dall’ordinario. Avevo preso ad avvicinarlo e ad uscire a pranzo con lui e più gli parlavo più mi facevo persuaso che si trattava esattamente della persona che faceva al caso mio. Nonostante tutto ciò quando lo invitai ebbi non poche difficoltà a farlo accettare.
“Mi dispiace io non frequento locali. Non vorrei che poi tutti si mettessero a ballare”
“Non sarà in un locale ma a casa mia”
“Ehm, guarda, non ti offendere ma non sono abituato ad andare a dormire tardi”
“Ma non andremo a dormire tardi, dai, un brindisi e poi tutti a nanna che non siamo più ragazzini”
Tira e molla, tira e molla, alla fine aveva accettato anche se, fino a quando non lo avevamo visto varcare la mia soglia, tutti avevamo temuto che potesse cambiare idea.
Arturo non era neanche entrato in casa che mani premurose gli avevano tolto la giacca per appenderla insieme alle altre e non appena lontani dal suo sguardo avevano manomesso il suo cellulare per benino rimettendolo subito dove l’avevano trovato.
La cena scivolò via alla perfezione, una portata dopo l’altra. C’era un’elettricità nell’aria che rendeva tutto più divertente, le risate più fragorose, gli occhi più brillanti,
Finalmente il momento arrivò. Mancavano quindici minuti alla mezzanotte e toccò a Manuela dare il via alle danze.
“ Abbiamo scordato di mettere le decorazioni! Aiutami Carmen!”.
Lo striscione che dava l’addio al 2012 fece la sua comparsa attaccato a due lampade a muro facendo bella mostra di sé attraverso l’intera stanza. Tutti evitavano accuratamente di guardare Arturo.
“Propongo un brindisi per salutare il 2012 e dare il benvenuto al 2013 che arriva!”
Ci fu un applauso fragoroso. Quasi liberatorio. Arturo bevette diligentemente il suo spumante senza aprir bocca.
“Mi sono permesso di comprare un piccolo pensiero per ognuno di voi – intervenni – è una sciocchezza, solo un piccolo segno di amicizia”.
Feci girare le agende e tutti le aprirono e mi ringraziarono calorosamente. Arturo sfogliò la sua agenda in silenzio. C’era da diventare matti. La gente si dimenava sulla sedia come su una graticola.
“Allora ragazzi, come è stato per voi questo 2012? Facciamo a turno un piccolo resoconto, vi va?” Milena stava tentando il tutto per tutto.
“Scusate..” la sala si zittì quasi di colpo. Arturo finalmente aveva preso la parola.
“Scusate, ma perché continuate a dire che sta finendo il 2012? Siete rimasti indietro o che? Avete finito i numeri?”.
Arturo aveva fatto una battuta. Roba che i Maya dovevano aver predetto questa cosa come evento che avrebbe dato il via a qualche cataclisma naturale o invasione aliena. Presi in pugno la situazione che tutti si contorcevano per non scassarsi dalle risate vanificando l’effetto “stupore naturale” che ci eravamo prefissi.
“Cosa intendi dire Arturo? Che cosa dovremmo festeggiare?”
“Dovremmo festeggiare la cosa che c’è da festeggiare. La fine del 2013 e l’arrivo del 2014, direi”
“Arturo, ti senti bene?” disse Manuela con aria preoccupata da grande interprete.
“Ragazzi, mi sento benissimo. Voi piuttosto, non mi sembrava aveste bevuto così tanto”
“Arturo, non mi dirai che tu pensi sul serio che tra pochi minuti entreremo nel 2014?” feci io, con perfetta presenza scenica e controllo dei tempi.
“Io e tutto il resto del mondo lo pensiamo” disse Arturo con un’ombra di incrinatura nella voce.
“Caro” fece Carmen avvicinandosi a lui e accarezzandolo sulla spalla “ci stai facendo paura”.
“Oh bè insomma! Accendiamo la televisione e vediamo a che anno stanno brindando gli abitanti del globo!”.
Manco a dirlo. L’informatico prese il telecomando e sullo schermo si materializzò un bel servizio che riassumeva i fatti del 2012 e ripeteva la fatidica data almeno cinquanta volte.
Il poveretto cominciava ad avere un espressione stralunata. Per un breve istante il suo volto si illuminò e la sua mano corse al telefono. Rimirando la data sullo schermo illuminato restò attonito. Tutti lo guardavamo con aria compassionevole e quelli a cui scappava troppo da ridere si coprivano il volto con le mani cercando di far intendere che ciò che vasodilatava le loro guance e gli inumidiva gli occhi fosse un forte moto di empatia e non uno sghignazzo prorompente. Arturo si guardava intorno disperatamente come a cercare un appiglio prima di precipitare. Il suo sguardo si posò sul giornale lasciato con nonchalance sul tavolino.
“L’anno in cui non finì il mondo. Ciao 2012. Il 2013 all’insegna della speranza”.
Arturo si accasciò sul divano. Il suo sguardo fissava un punto nel nulla. La televisione trasmetteva il concertone con la scritta “Benvenuto 2013” a gigantesche lettere luminose che campeggiava sul palco.
“Ma davvero Arturo pensavi d’aver già vissuto il 2013?” a parlare era stata Daniela per cui Arturo, tutti lo sapevano, aveva sempre avuto un debole.
“Io HO già vissuto il 2013”
“Dacci le prove. Raccontaci qualcosa che ci convinca, qualcosa di speciale legato a quest’anno che dici d’aver vissuto. Può essere che tu abbia attraversato una sorta…una sorta di varco temporale”. Daniela ora stava esagerando e tutti la guardarono con muto rimprovero.
“Bè, io – Arturo roteava gli occhi come a frugare nella memoria – a Febbraio ho fatto una brutta influenza.”. Ci guardò tutti come a saggiare l’effetto di questa sua prova cruciale e resosi conto della sua insussistenza si affrettò a dire: “Poi a Pasqua ho preso quattro giorni di ferie e ho ridipinto il mio salotto. Ricordate che non sono riuscito a togliermi gli schizzi di pittura dalle unghie per giorni?”. Tutti intorno a lui lo guardavano e tacevano.
“Ad Agosto sono andato due settimane in campagna”
“Dove vai tutti gli anni da quando sei bambino”
“Si ma quest’anno è piovuto tutto il tempo”
Attraverso le finestre si sentivano i botti e i fuochi che cominciavano ad esplodere sempre più ravvicinati. In televisione il gruppo più alla moda di un anno prima intonava una canzone vecchia di un anno.
“Poi due mesi fa il capo mi ha fatto una sfuriata pazzesca!”
“La sfuriata della chiusura del bilancio. La fa tutti gli anni da quando lavoro lì” commentò l’informatico, che era il più anziano dell’ufficio.
In televisione partì il solito conto alla rovescia che terminò quasi all’unisono con quello che si sentiva provenire dai televisori degli appartamenti vicini. Era stato bravo l’informatico, aveva sfiorato la perfezione. Per strada ci fu il solito tripudio di stanchi petardi rabbiosi. Nella nostra stanza regnava il silenzio. Tutti guardavano Arturo con i bicchieri in mano, chi in piedi, chi seduto, in attesa che ci fornisse la prova di essere esistito, da qualche parte, in qualche modo, negli ultimi dodici mesi. L’imputato guardò Daniela e fece per dire qualcosa ma poi decise di tacere.
Si alzò, si diresse verso la sua giacca, la ripescò nel groviglio delle altre, la indossò e aprì la porta di casa.
“Arturo non fare così!”
“Dai, resta ancora un po’ che si fa il brindisi!”
“Arturo, era uno scherzo! Solo uno scherzo!”
Arturo, voltato di schiena, fece spallucce e uscì senza salutare.
Restammo soli nel salotto illuminato a giorno con le nostre bollicine che salivano nei bicchieri e il presentatore che sciorinava idiozie che non mostravano minimamente il segno della loro età.
Ognuno taceva, seguendo una propria ricerca solitaria, interrogando i propri ricordi nella speranza di trovarne qualcuno che dimostrasse che per lui invece non era passato invano quell’anno, che pure ci doveva essere stato qualcosa degno di essere ricordato.
Carmen si illuminò per un istante ed esclamò: “Io sono andata in menopausa!”.
Nessuno commentò più e ad uno ad uno se ne andarono senza nemmeno cercare una scusa.
Restai da solo con l’ultimo bicchiere di vino e alcune domande feroci a cui non avevo la forza di rispondere.
Fuori dalla finestra gli ultimi scoppi isolati si consumavano sempre più distanti.