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La prima volta che aveva fatto l’amore aveva diciassette anni, una solida preparazione teorica e pressoché nessuna esperienza pratica. In base alle sue approfondite conoscenze tutto si aspettava che sarebbe successo fuorché di sentire la ragazza con cui stava vivendo il suo grande magic moment cominciare quasi da subito a gemere e ululare e gorgheggiare e ansimare, travolta da un piacere che sembrava irresistibile e che era andato avanti per un tempo indefinito lasciandola praticamente esanime. C’era voluta tutta a rimetterla in sesto e in grado di tornare a casa. Faccenda molto strana, talmente strana che non ne aveva parlato con nessuno per non farsi prendere in giro da tutti gli amici e dagli amici degli amici. Nei giorni seguenti Medoro sarebbe stato anche capace di dimenticarsi tutto e di convincersi di aver sognato, se non fosse stato per il fatto che la ragazzina in questione non gli si scollava più di dosso e gli telefonava trenta volte al giorno inventandosi mille e più situazioni propizie per restar sola con lui. Quella fu solo la prima di una lunga serie di esperienze che lo avrebbero alla fine portato alla totale consapevolezza. Bastarono altre due o tre episodi perché quello che inizialmente era solo un sospetto si trasformasse in qualcosa di molto simile ad una certezza. In qualunque modo facesse l’amore, che fosse coinvolto o non lo fosse, che fosse frettoloso o prolungato, che fosse dolce o impetuoso, che fosse svogliato o zelante, il risultato era sempre lo stesso. La fanciulla con cui si trovava partiva per la tangente, veniva rapita da un piacere assoluto e incommensurabile, si ammalava di lui e poi prendeva a cercarlo, ossessionarlo, pretenderlo continuamente fino a che non diveniva un problema liberarsene. Provò a comportarsi diversamente, a fare tutto quello che non si dovrebbe mai fare, scelse luoghi squallidi, fu distratto, sbrigativo, ma questo non cambiò nulla. Di innamorarsi poi, non se ne parlava nemmeno. Tutto filava liscio fino al momento fatale e poi, una volta provato l’amore, cambiavano tutte e si tramutavano in assatanate con cui non c’era più verso di fare vita. Negli anni che erano seguiti aveva persino provato ad avere una convivenza con una ragazza proprio graziosa di cui era molto preso ma l’esperienza si era rivelata un disastro. La lasciava con fatica alla mattina per andare a lavorare divincolandosi letteralmente dalle sue braccia e la ritrovava alla sera che non aveva messo il becco fuori di casa e non aveva combinato nulla se non struggersi d’amore in attesa del suo ritorno. E non c’era verso di fare due parole, di raccontare la propria giornata, di prendere un aperitivo insieme che lei gli balzava addosso e se non stava attento ogni sera ci rimetteva i bottoni della camicia.
Si convinse che l’amore non fosse cosa per lui e se ne tenne alla larga per qualche anno. Ma la solitudine è dura e giorno dopo giorno cresceva in lui il desiderio di una compagnia femminile, la nostalgia di ciò che non aveva mai avuto: un’amica, una complice, una compagna con cui condividere la propria esistenza.
Si trovò un pomeriggio di domenica, solo in casa come al solito, a consultare uno di quei siti per single alla ricerca di neanche lui sapeva cosa. Ad ogni pagina scuoteva il capo, ogni fotina di possibile candidata assumeva dopo un attimo ai suoi occhi la temuta e ben nota espressione della vogliosa lussuriosa con gli occhi socchiusi e l’aria supplichevole. Forse cercando una signora anziana bisognosa solo di compagnia avrebbe potuto avere qualche possibilità. Faceva scorrere la rotella del mouse svogliatamente quando incappò in un annuncio singolare. “Trentaquattrenne, colta, intelligente, di bell’aspetto cerca uomo libero per conoscenza ed eventuale convivenza rigorosamente platonica”.
“Come minimo sarà una psicopatica o una serial killer” pensò spegnendo il computer. Ma la curiosità di sapere chi ci fosse dietro a quell’annuncio così singolare continuò a tormentarlo nei giorni seguenti e alla fine lo vinse. Combinò l’incontro.
Arrivò un po’ prima sul luogo dell’appuntamento per vedere da lontano l’aspetto della sconosciuta ed eventualmente squagliarsela a gambe levate nel caso si fosse trattato di un trans o di una lottatrice di sumo o di una addestratrice di pitoni con uno dei suoi cuccioli in borsetta. Eccola lì. Stava seduta al tavolino del bar e guardava il cellulare. Se quello era un trans lui era un fenicottero. Era estremamente graziosa e teneva accavallate un paio di gambe di assoluto rispetto. Sul tavolino un libro aperto, ottimo segnale. Pitoni non se ne vedevano. Si fece avanti timidamente.
Angelica era fantastica. Si trovarono in sintonia su tutto. Ci misero poche settimane a conoscersi e capire di essere i due pezzi giusti del puzzle. Di sesso non parlarono nemmeno di sfuggita e, anche se Medoro era molto incuriosito dalla ragione che aveva spinto una donna così a porre la condizione dell’amore platonico, si guardò bene dal nominare la cosa. Non fosse mai che Angelica pensasse che lui voleva farle cambiare idea. Questa volta il solito sesso non si sarebbe messo di mezzo.
Dopo soli due mesi dal loro primo incontro Angelica e Medoro misero su casa insieme.
Avevano un ménage perfetto. Ognuno aveva il proprio lavoro e nel tempo libero condividevano mille interessi: il cinema, la lettura, la buona cucina. Parlavano per ore per il solo piacere di farlo ed erano felici. Dormivano nella loro stanzetta con i lettini separati come ragazzini e a volte prima di chiudere gli occhi si davano la mano da un letto all’altro.
Angelica in una fortuna come quella non ci sperava più da un pezzo. Quando tanti anni prima aveva capito di avere quello strano potere a letto con gli uomini, era cominciato il suo inferno. Ogni fidanzato faceva la stessa fine. Tutto andava perfettamente fino a quando non finivano a letto per la prima volta, A quel punto il copione si ripeteva. Lui veniva investito da un piacere così intenso e profondo che ne restava sopraffatto. Ululava, bramiva, ruggiva, si contorceva e poi si tramutava in una specie di zerbino, di servo, di succube che altro non chiedeva se non di rifarlo all’infinito. Aveva persino avuto qualcosa di simile ad una convivenza, ad un certo punto, ma era stato un incubo. Lui aveva smesso di lavorare, di nutrire qualsiasi interesse e restava ad aspettarla tutto il giorno consumandosi dalla voglia di lei. Tornare a casa e trovarlo scodinzolante, pronto a balzarle addosso prima ancora di aver potuto pronunciare un saluto era una cosa da farsi venire il vomito e che ricordava con orrore. Mai più avrebbe provato una cosa del genere.
Quello che stava vivendo adesso invece sì che poteva essere definito un periodo meraviglioso! Certo era molto strano che un bel ragazzo come Medoro avesse accettato le sue condizioni ma su questo era meglio non porsi troppe domande e soprattutto evitare di affrontare l’argomento con il rischio che quel magico equilibrio si rompesse.
Tutto sarebbe meravigliosamente andato avanti così, magari all’infinito, se non fosse stato per il pessimo stato dell’impianto idraulico dell’appartamento soprastante a quello dei due innamorati platonici.
Quella sera il tubo di scarico della lavatrice dei vicini aveva deciso di rompersi esattamente sopra il letto di Angelica e l’acqua, dopo aver infradiciato il soffitto, aveva preso a gocciare abbondantemente inzuppando le lenzuola e il materasso. Medoro aveva da poco avvertito che sarebbe rincasato un po’ più tardi e Angelica aveva deciso di coricarsi senza aspettarlo ma quando aveva trovato il letto bagnato e pieno di calcinacci aveva dovuto rimandare e rimediare a quel guaio. Aveva sistemato una bacinella sotto la perdita, avvisato i vicini, telefonato all’amministratore e solo a quel punto aveva potuto finalmente stendersi sul letto di Medoro per riposarsi un poco prima del suo arrivo. Era così successo che, vuoi per la stanchezza, vuoi per il ticchettio regolare delle gocce nella bacinella, vuoi per il buio che regnava nella stanza, Angelica si era addormentata.
Questo era lo stato delle cose quando Medoro, poco prima di mezzanotte, entrò nella stanza senza accendere la luce per non disturbare Angelica. Procedette a tentoni fino al proprio letto, si spogliò silenziosamente e si infilò sotto le lenzuola con voluttà.
Il contatto con il corpo di Angelica fu come infilare le dita nella presa della corrente. Un pezzo infinitesimale della sua mente cominciò ad ordinare alle gambe di allontanarsi velocemente dal pericolo mentre la parte restante comandò imperiosamente alle braccia di stringerla.
Il contatto con il corpo caldo di Medoro fu per Angelica come una doccia scozzese dopo la sauna. In un istante i suoi sensi furono tutti accesi contemporaneamente e la vocina che le ordinava di alzarsi e di fuggire venne inghiottita velocemente in un gorgo di luci.
Angelica e Medoro presero ad accarezzarsi e il letto in cui si trovavano, il comodino e il bicchiere sul comodino cominciarono a tremare come per un piccolo sisma, diciamo una magnitudo 3 della scala Richter.
Al primo bacio ci fu un calo di tensione nell’impianto elettrico del condominio e i vicini si persero la puntata finale di X-factor, con loro grande disappunto.
Quando si presero nel cielo del quartiere ci fu una salva di fulmini a ciel sereno e i cani per strada e anche qualche gatto presero a ululare come coyote tutti insieme.
Cominciò a quel punto un bradisismo vesuviano con un abbassamento e innalzamento del livello del suolo così intenso che agli alberi del parco venne la nausea e vomitarono tutti di getto.
Nel raggio di circa tre chilometri, tutte le pentole a pressione cominciarono a fischiare e a gettare vapore come locomotive ovunque fossero, anche quelle impilate negli scaffali dei reparti casalinghi dei supermercati.
Senza alcuna ragione apparente uomini, animali e minerali della zona si eccitarono e cominciarono a formulare pensieri bollenti, ivi compresi tutti gli ospiti dell’antistante Ospizio Villa Beniamina che vantava ben cinque ultracentenari.
La badante del signor Caproni, un ragazzo del 1921 pluridecorato, riferì in seguito che il suo assistito si era trasformato da un istante all’altro nella dea Kalì e giurò di essersi ritrovata le sue mani in almeno sei posti critici contemporaneamente.
Progressivamente il fischio delle pentole a pressione salì di tono e intensità fino a raggiungere quella del geyser di Yellowstone o dei motori di un Airbus A380 in fase di decollo.
Quando Medoro raggiunse l’orgasmo ci fu un crash in tutti i computer della città e esplosero gli idranti dell’intera via.
Quando Angelica raggiunse l’orgasmo gli strumenti musicali dell’intera provincia presero a suonare da soli a pieno volume e tutte le radio si accesero trasmettendo all’unisono i nove do di petto di Pavarotti al Metropolitan Opera di New York del ‘72.
Con i capelli sudati e i visi sconvolti i due si guardarono.
Per strada lo scroscio dell’acqua che spruzzava dagli idranti imitava il suono romantico di un temporale.
“Non ho mai provato nulla del genere” dissero in coro Angelica e Medoro, guardandosi colmi di gratitudine.
“E ora cosa faremo?” disse Angelica con la voce tremante.
“Lo rifaremo” disse Medoro.
Non sappiamo come sia finita la storia di Angelica e Medoro. Il racconto si ferma ad un mese da questi eventi quando nessuno aveva ancora avuto modo di vedere i nostri due eroi che a quanto pare non erano più usciti di casa. Il loro palazzo venne identificato come l’epicentro di una attività geotermica e idrogeologica unica al mondo. La zona venne altresì dichiarata di interesse nazionale per i fenomeni paranormali che si verificavano senza sosta. Gli appassionati di opera lirica ritennero per molti anni che lo spirito di Pavarotti avesse scelto questo modo per manifestarsi a tutti i suoi fan.