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crociera, figli, fratelli, genitori, Ivano Ferrari, Ivano Ferrari Genova, Ivano Ferrari racconti, letteratura, Racconti, Racconto, racconto comico
Federico aspetta seduto sul divano da un sacco di tempo e ha gli occhi che gli si chiudono dal sonno. Non aveva mai sentito la casa così silenziosa e quest’assenza di suoni gli fa un po’ impressione, quasi come avere le orecchie tappate. Dev’essere così il mondo quando si dorme: una noia mortale. S’era detto alle tre in salotto e ancora non si vede nessuno. Sta a vedere che Davide non è riuscito a svegliarsi. Per non correre questo rischio lui si è messo la sveglia dell’orologio nuovo che ha ricevuto per Natale. Eccoli invece i piccoli passi nudi che percorrono il corridoio. Davide ha la coperta sulle spalle e quando si siede con le gambe incrociate di fronte al fratello sembra toro seduto.
“Ce n’hai messo di tempo…”
“Shh, parla piano che svegli tutti…”
“D’accordo – sussurra Federico con aria solenne – Diamo inizio al piano.”
Il primo obiettivo in elenco è la scarpiera.
“Squadra numero uno a squadra numero due. Procedere!”
“Ricevuto. Iniziare l’operazione”
Tutte le scarpe di mamma e di papà vengono raccolte in un due grandi buste di plastica per la spesa sbucate dalla tasca della cartella di Davide. Federico che è il più forte regge il sacco e il fratello butta dentro. In due minuti è fatta. Adesso arriva il difficile. Bisogna essere veloci e silenziosi. Nello sgabuzzino la scala cigola maledettamente quando la si apre. Farlo senza farsi sentire fa perdere cinque minuti buoni. Davide sale sul terzo gradino e Federico gli passa il primo sacchetto che finisce in fondo allo scaffale dove c’è anche l’albero di Natale. Al secondo sacchetto la scala vacilla. Il cuore balza in gola e batte così forte che a momenti sveglia tutta la casa. Poi anche il secondo sacchetto va a tenere compagnia al primo. Altri tre minuti almeno per chiudere la scala e via alla seconda parte del piano.
La cartella di Davide sembra la borsa di Mary Poppins: ecco che ne estrae un piccolo sacchetto chiuso con un nodo. Nel sacchetto c’è una piccola scatola e nella scatola, be’, meglio non dirlo.
“Che puzza”
“Tu tappati il naso!”
“Qual è il posto migliore?”
“All’entrata della cucina, Zeus di notte non esce mai di lì”.
Missione compiuta. Silenziosi come Ninja pigiamati ecco giungere due ombre vicino al tavolo del salotto. Dalla pila dei documenti e delle cose importanti preparate ieri sera da mani previdenti scompaiono una busta e un mazzo di chiavi. Il tempo di un respiro e la busta è in mezzo ad una pila di sue simili insieme alle bollette e alla posta inevasa che giace da tempi immemori sul piano della scrivania dello studio. Le chiavi sprofondano senza un suono nella tasca interna del cappotto di papà, appeso nell’armadio dell’ingresso. Adesso arriva la parte della missione che richiede più coraggio. Il candidato naturale sarebbe stato Davide che si muove silenzioso come un apache quando tende un agguato a un cervo, ma Federico è più grande e più tecnologico e quindi alla fine si è deciso che toccasse a lui. Davanti alla porta della stanza di mamma e papà i due fratelli si guardano consci del momento solenne. Tutto dipende da qui.
“Vincere o morire” pensa Federico. “O con lo scudo o sopra lo scudo” pensa Davide guardando la sagoma del fratello che scompare nel ventre buio e tiepido della stanza.
Con il passo del leopardo Federico arriva lentamente davanti al comodino di mamma dove il cellulare si ritempra dalle fatiche del giorno con il suo bel cavo inserito nella presa della corrente. Bisogna prenderlo e fare quel che è necessario tenendolo sotto il letto che se no la luce sveglia la genitrice dormiente. A metà dell’operazione papà comincia a russare come un plantigrado in letargo. La mamma si agita e borbotta qualcosa mettendosi di colpo seduta. Federico scompare sotto il letto con il cellulare stretto al petto che sobbalza per i colpi ritmici del suo cuore. Rimane un tempo infinito là sotto, giusto per prudenza, poi ripone al suo posto il cellulare modificato e ripercorre il cammino fino a raggiungere il fratello che nel frattempo si è addormentato seduto per terra con la testa appoggiata al muro.
“Oh, bel complice che sei!”
“Eh, Oh, Federico! Hai fatto tutto?”
“Si, si, buona notte. Vieni che andiamo a finire.”
Stavolta tocca a Federico tirare fuori una busta dalla sua cartella. Sulla busta c’è scritto “Per la mamma e il papà”. La busta viene collocata in bella mostra sui fornelli, vicino alla caffettiera preparata come tutte le sere dalla mamma.
“Attento a non pestarla!” grida sottovoce Federico a Davide che sta uscendo dalla cucina e ha l’aria di non essersi del tutto svegliato.
“Ok, ok, ma sono sveglio sai? Comunque abbiamo finito no?”
“L’ultimo tocco da maestro, non ricordi?”
“Certo. Andiamo.”
Federico fa scaletta e Davide monta con il piede sulle sue mani intrecciate. Stirandosi tutto arriva appena allo sportellino di plastica del quadro elettrico, vicino alla porta di ingresso, e con un colpo secco fa scattare il salvavita. Zeus in cucina si stiracchia e si gira su se stesso. Il campanile in lontananza batte le quattro e trenta. Missione compiuta. Federico e Davide si danno il cinque e, parlando tra di loro con i sottotitoli per non udenti, si dicono cose fratellesche trattenendo a stento le risatine. In capo a cinque minuti sono a letto addormentati come i cherubini di Raffaello.
Ore 7.15: un urlo belluino risuona nella camera da letto genitoriale.
“Luisa! La sveglia non ha suonato! Sono le sette e un quarto! Di te non mi posso mai fidare!”
“Ma io l’ho messa alle sei e un quarto! Te lo giuro!”
“Si, si come no! Ora sbrighiamoci che possiamo farcela ancora!”
Il pavimento risuona di passi affrettati.
“Ma è andata via la luce! Proprio stamattina! Guarda dalla finestra se tutto il quartiere è al buio!”
“No! La luce negli altri appartamenti c’è! Manca solo da noi!”
“Vai a vedere se è scattato il salvavita! E già che ci sei accendi sotto la macchinetta del caffè che è già pronta!”
I piedoni di papà rimbalzano sul pavimento fino all’ingresso. Si sente un piccolo scatto e per magia si accende la luce in camera da letto illuminando una mamma già mezza vestita. Non passano dieci secondi che i muri rimbombano di una fragorosa bestemmia proveniente dalla cucina.
“Che succede adesso?” grida Luisa.
“Zeus ha fatto la cacca in cucina! E io l’ho pestata! Che schifo!”
“Che strano! Non l’ha mai fatto! Forse sta male!”
Accoccolato sulla sua brandina con l’aria più sana di questa terra, Zeus osserva interdetto l’uomo che saltella su un piede smoccolando come un indemoniato. Per la cucina si spande un puzzo imbarazzante. Il tempo di pulire il pavimento e lavarsi il piede con l’acido muriatico e i due terminano di vestirsi. O meglio, terminerebbero di vestirsi. Se trovassero le scarpe.
“Dove sono finite le mie scarpe?”
“Ma è possibile Alberto che non trovi mai niente! Se devo pensare a ogni cosa non usciremo mai! Caspita, ma le scarpe dove sono finite?”
“E’ quello che ti stavo dicendo, signora “Pensosempreatutto”!”
“Forse la donna di servizio le ha messe da qualche parte per lucidarle!”
“Lucidare le mie scarpe da ginnastica?”
Ogni ricerca è vana. Alla fine, piuttosto che niente Alberto rimedia un paio di infradito viola e Luisa gli zatteroni di corda con cui va alla spiaggia d’estate.
“Sembriamo due idioti.”
“Vedrai che in mezzo a tutta quella gente nessuno ci farà caso” dice Luisa senza crederci molto.
“Madonna che mattina! Tra poco arrivano i tuoi. Prendiamo su tutto e usciamo!”
“Alberto, ce li hai tu i biglietti?”
“Sono lì con i documenti e le chiavi della macchina.”
“Io qui non li vedo. A parte il fatto che non vedo neanche le chiavi della macchina.”
“Ma tu non eri quella che trovava tutto? Guarda bene che sono lì!”
La ricerca delle chiavi dura almeno un quarto d’ora e alla fine vengono fuori per merito di Luisa, naturalmente. Lasciarle dentro il cappotto è tipico di quell’inguaribile disordinato del marito. Dei biglietti invece non c’è traccia. Le accuse fioccano reciproche.
“Con te non si riesce mai a fare nulla!”
“E no eh! I biglietti erano compito tuo!”
Quando finalmente la busta fatidica spunta fuori in mezzo alle bollette siamo ampiamente fuori tempo massimo. Alberto si siede in cucina con aria mesta e si guarda i pollicioni accoccolati nelle assurde infradito viola. Luisa in bilico sui suoi zatteroni raggiunge con passo sconsolato e vacillante i fornelli, accende sotto la macchinetta del caffè e vede una busta.
“Guarda Alberto. I bambini ci hanno scritto una letterina…”
Cari mamma e Papà,
speriamo tanto che vi divertiate in crociera. Non vi preoccupate per noi. E’ lo stesso se ci lasciate con nonna Adele e nonno Ugo che brontolano tutto il giorno e non ci fanno mai giocare con la Play Station e ci mandano a letto con le galline. Noi saremo buonissimi lo stesso. Voi non pensate a noi, divertitevi e tornate presto!
Federico e Davide che vi vogliono tanto bene.
Luisa si mette la mano sulla bocca e gli occhi le si riempiono di lacrime. Alberto legge a sua volta e anche se fa un po’ il duro non riesce a nascondere la commozione.
Senza dirsi nulla si dirigono entrambi nella stanza di bambini e ognuno si siede sul bordo di un lettino.
“Mamma, ma non dovevate partire?” dice Federico con la voce impastata mentre la mamma gli accarezza la testa.
“Papà, siete già tornati dalla crociera?” borbotta Davide che non si sa è sveglio o se dorme ancora, mentre papà gli rimbocca le coperte.
“Papà e mamma non vanno più. Non vi preoccupate. Magari domani vi portano a Gardaland. Ora dormite”.
“Che bello!” borbotta Davide che non si sa cosa abbia capito davvero.
“Yuhuu!” sussurra Federico con un filo di voce prima di riaddormentarsi come un angioletto.