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Cari esseri umani di ogni genere e di ogni età,
forse qualcuno tra voi è sufficientemente vecchio da ricordare quando ho annunciato al mondo la mia invenzione per ricavare energia dalla saliva. Nessuno ci ha creduto, all’inizio. Eravamo tutti troppo pieni dell’idea che l’esistenza si dovesse pagare con il sacrificio per poter credere che il segreto di tutto fosse alla portata di ognuno e fosse completamente gratuito.
Oggi a voi sembra normale sputare ogni tanto nella tazza raccoglitrice e avere la casa illuminata e riscaldata, il frigorifero che conserva il vostro cibo, il ronzio del computer che vi tiene compagnia mentre leggete. E nonostante ciò vi chiedo di non dimenticare come andavano le cose fino a non molti anni fa.
Una persona doveva scegliere, allora. Nemmeno era giunta alle soglie dell’infanzia che già doveva scegliere. Tra il gioco e il dovere, tra le passioni e il dovere, tra la libertà e il dovere, tra la poesia e il dovere, tra i figli e il dovere, tra l’amore vero e il dovere, tra la salute e il dovere.
Il dovere era produrre l’energia per tutti. Aveva tante forme, il dovere, ma alla fine il succo era questo. Uno si ficcava nel serbatoio della pancia il cibo, lo trasformava in energia al netto dello scarto e dei consumi, e poi l’energia che rimaneva la doveva restituire sotto forma di dovere, spesso con gli interessi.
E il dovere aveva sempre ragione. Era buono e santo e chi gli sfuggiva un vile. Il dovere vinceva sempre anche quando lo si evitava, perché restava lì a tormentarti il cuore.
C’era chi odiava il dovere, chi lo subiva in silenzio, chi fingeva di amarlo, chi si inventava la retorica del dovere, la morale del dovere. Ma il dovere non aveva morale. Era solo uno scambio. Servizio in cambio di sopravvivenza. Corvée obbligatoria, baratto. Ricatto.
C’erano gli illusi che cercavano di toglierselo dai piedi per vivere nel tempo restante. Ma il tempo restante era un scampolo di stoffa irregolare e maltagliato e tutta la vita di una persona lì dentro non ci stava. Costrette in quello spazio a comando, tutte in quello scampolino mezzo mangiato dalla stanchezza, le cose che fanno degna la vita non ci stavano. E le persone si ammalavano. I loro corpi dicevano ad alta voce quello che le loro bocche non avevano il coraggio di dire e quando le loro bocche parlavano dicevano solo quello che non avevano il coraggio di fare.
In quel tempo, che la maggior parte di voi non ha mai vissuto, l’uomo era spesso nemico dell’uomo e sfogava sugli altri tutta la rabbia della propria condizione. C’era la specie di quelli che cercavano di evitare il proprio dovere scaricandolo sulle spalle degli altri e rubavano quella vita che, pur giusta, nessun altro allora poteva permettersi. Quella vita libera che oggi per voi è garantita e a quei tempi era privilegio di pochi fondato sull’inganno e sul sopruso. Non sapete che infinita fortuna sia stata per voi non avere conosciuto la genia infame di quei ladri di tempo. Voi fortunati.
Che prestate servizio nella trasformazione della materia e nella fabbricazione delle idee per poche ore al giorno ed il resto è vita.
Che scegliete da soli con quale dei vostri talenti aiutare il mondo a progredire.
Che giocate, dipingete, fate l’amore e vi preparate alla morte che vi colga in piedi, come si conviene agli uomini, e non vi sorprenda a quattro zampe, con il corpo consumato dalla frustrazione e lo spirito fiaccato dalla vita sciupata. Perduta. Mai avuta.
Ora che si sputa oro, sorelle e fratelli, non pensate che la saliva sia sempre stata oro.
La saliva è stata catarro amaro, è stata bile.
Ora che sputate oro non scordate di quando l’uomo sputava ogni minuto. Ma sputava per terra e sputava sangue.