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Virgilio Provoli, chef esordiente e vincitore del programma televisivo “Il fuoco del cuoco” si guardava intorno con aria soddisfatta. La sala pullulava di gnocca ed era evidente che una buona percentuale delle invitate si sarebbe volentieri concessa al suo fascino. C’era da morir dal ridere a pensarci. Lui che con le donne era sempre stato un disastro. Bruttino, grassoccio, timido e con la favella di un neanderthaliano. Poi era arrivata quella storia della cucina e tutto era cambiato. Si era fatto un culo come una casa, aveva studiato, sudato, il suo corpo si era riempito di ustioni come un pompiere pluridecorato, aveva speso una fortuna in corsi e attrezzature, ma alla fine il successo gli aveva arriso.
“Il fuoco del cuoco” era stato l’inizio della sua parabola ascendente. In pochi mesi erano arrivati il libro, le interviste, gli inviti alle trasmissioni, le pubblicità. Da un giorno all’altro si era ritrovato ad essere una specie di stella e forse un giorno, chi lo sa, la stella avrebbe avuto un ristorante stellato tutto suo e sarebbe stata ricca sfondata, avrebbe avuto una donna per ogni giorno della settimana e sarebbe andata a fare la spesa in Ferrari.
Al momento però i pensieri di Virgilio si trovavano molto lontani dai fornelli. Da qualche minuto aveva adocchiato un esemplare di femmina umana che si confaceva senza dubbio al suo nuovo status. Doveva anche averla già vista da qualche parte, forse era una giornalista del settore o una conduttrice, fatto sta che si trattava indubbiamente di un frutto di stagione adatto ai palati più raffinati. Destinato ad essere sbucciato e consumato crudo, nella sua semplicità, o tutt’al più con una guarnizione leggera di lingerie che aggiungesse una nota di colore all’impiattamento. Con aria disinvolta si era avvicinato alla preda, aveva sorriso, firmato qualche autografo, preso due flûte di bollicine dal tavolo e si stava preparando ad un disinvolto approccio, quando l’ingrediente principale della sua prossima preparazione aveva scelto un abbinamento diverso e aveva preso a cinguettare con quell’insipido dilettante di Dante Scampi che lo aveva preceduto in volata. Scampi era una mezza calza, c’era poco da dire. Fortunosamente vincitore del talent show “Belli fornelli”, era niente di più che un misto tra un gestore di mensa aziendale e un preparatore di hamburger da fast food. Godeva, non si sa come, di un certo successo il che però significava poco dal momento che, da qualche tempo, bastava anche solo fingere di occuparsi di cucina per far parlare di sé.
Virgilio decise che mai si sarebbe fatto fregare da una simile nullità.
“Scusi, permette?”
“Signor Provoli! Che piacere! Ero proprio qui a dire con il signor Scampi di quanta bella gente ci sia a questa festa! Lei conosce il signor Scampi, immagino.”
“E come no? -fece ironico Virgilio- Chi non lo conosce?”
“Ma guarda! Il signor Virgilio Provoli! Il cuoco di fuoco!”
“Veramente la trasmissione si chiama “Il fuoco del cuoco”, strano che lei la ignori. E’ il programma con lo share più alto in Italia, in questo momento. Imitatissima, come tutti sanno, da una serie di sottoprodotti di bassa qualità, tivù spazzatura come quel “Belli porcelli” o come diavolo si chiama. Roba che insozza la reputazione della nostra cucina nel mondo.”
“Temo che il nostro signor Provoli sia roso dall’invidia. Attento, cuoco infuocato, che questi sentimenti fanno venire il fegato grasso.”
“Pensi per lei bello porcello, che a mettersi con un cuoco vero potrebbe trovarsi come il castrato.”
“Ma, signor Virgilio, signor Scampi, non fate così…”
“Stai zitta tu gallina in brodo! Che questo imbrattafornelli ha evidentemente bisogno di una lezioncina in cucina. Partendo dai fondamentali, intendo.”
“Ma…”
“Sì, zitta tu, petto d’oca, che lo chef di fuoco dei miei stivali sembra aver bisogno di due ripetizioni.”
Virgilio e Dante finirono per sfidarsi pubblicamente e meno male che non arrivarono a mettersi le mani addosso perché erano entrambi abbastanza in carne da farsi male davvero.
La notizia fece grande scalpore. L’Ariston mise a disposizione le sue cucine per la tenzone e la domenica successiva, con grande attenzione mediatica e in diretta su molti canali, ebbe luogo la sfida.
Virgilio dette il via alle ostilità con la sua famosa “Bistecca di banana pressata con riduzione di tamarindo”. Un colpo basso, quasi inimitabile. I giudici, scelti con estrazione a sorte tra quelli che avevano già partecipato ai più famosi programmi di cucina del momento, vacillarono per la sopraffina delicatezza del piatto.
Dante non si scoraggiò e replicò con “Polpette di pollo, polpo e polmone al pompelmo”. Quasi nessuno riuscì pronunciarne il nome senza impappinarsi se non un giovane giudice che faceva il rapper per passione. Tutti, senza eccezione, lo trovarono sublime.
Nel tentativo di sbaragliare l’avversario Virgilio sfoderò allora la sua famosa interpretazione della filosofia “slow food”: “Schegge di lumaca in brodo di tartaruga espresso”.
Fu un colpo basso. I favori della giuria si stavano decisamente spostando dalla sua, era evidente.
Nel tentativo di riguadagnare punti Dante se la giocò con un piatto nel solco della tradizione. Lo “ Stracotto di ricotta cotta e gran cru di crudité” che fu apprezzato ma non riuscì a riportare in parità le sorti dello scontro. Era il momento del colpo finale. Virgilio tento il tutto per tutto con un piatto eccentrico, l’”Acqua pazza alla zucca fuori di zucca” che però, inaspettatamente, non venne capito. La partita era di nuovo aperta.
Dante buttò lì un dolce a sorpresa. La sua “Sbarra di cioccolato caramellato al cacao con guazzetto di Nutella” mandò in visibilio iperglicemico la giuria che proruppe in una standing ovation.
Temendo per le sorti della competizione e per la sua stessa reputazione, Virgilio si produsse in qualcosa di una raffinatezza inimmaginbile: l’ineguagliato “Stufato di gufo al tartufo”. Una cosa così Dante non avrebbe saputo cucinarla nemmeno se fosse stato posseduto dallo spirito dell’Artusi.
Il colpo si fece sentire.
In preda a crisi confusionale Dante replicò con il popolare e greve “Calzini al gorgonzola” di sua invenzione. I giudici già rimpinzati come tacchini non riuscirono nemmeno ad assaggiarlo. La vittoria era nelle mani di Virgilio che a quel punto volle stravincere dimostrando che anche nella cucina grassa e popolare si poteva trovare una certa grazia. La sua “Composta di cotechino sott’olio con cotiche” fu un trionfo.
Nel patetico tentativo di risalire la china Dante si produsse in un piatto etnico: il “Sombrero di tortilla ripieno di tacos, burritos, fagioli e churros”. Una débâcle.
Virgilio venne portato in trionfo non senza qualche fatica visti i suoi centoventi chili abbondanti.
Quando fu deposto a terra si diresse subito dalla sua bella giornalista che lo aspettava raggiante, si sfilò la cloche, gliela mise in testa e la baciò tra gli applausi.
“Spero tu abbia il forno a duecento gradi, bella, perché qui c’è un bocconcino di carne ansioso di essere cotto” le sussurrò.
Poi salirono sulla Ferrari messa a disposizione dalla trasmissione “Impanati e fritti” e si allontanarono sotto una pioggia di coriandoli che manco al carnevale di Venezia.