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La prima cosa che ho visto di lei sono state le gambe.
Giocavano l’una con l’altra a superarsi lungo il marciapiede senza cercare sguardi, con discrezione. Hanno attraversato di sfuggita la mia visuale, prima le ginocchia un po’ tonde, appena scoperte, accarezzate dalla veste a piccoli disegni neri, con la loro pelle nuda come la stagione chiedeva, e poi i polpacci ben modellati, forse appena un po’ grossi, ma non per davvero, per illusione, rispetto a caviglie tanto sottili.
Dei piedi, asciutti, ben curati, avevo fatto in tempo a intravedere piccoli frutti di smalto rosso attraverso le stringhe bianche di sandalini aperti di dietro.
E’ stato per quelle gambe che mi sono alzato e ho preso a seguirla.
Standole qualche passo indietro, ho osservato come uno studioso mimetizzato tra le fronde, il suo modo di muoversi.
Aveva un’andatura lievemente dondolante, fianchi larghi, vita sottile.
Le braccia nude stavano abbandonate volentieri lungo il corpo oppure si piegavano, durante le soste, e la mano sinistra si posava sul palmo della mano destra aperta, come un uccello su un posatoio, e restava così, in attesa che lei finisse di guardare ciò che aveva attirato la sua attenzione, con il capo piegato da un lato, una vetrina, uno scorcio della città, o che terminasse la lettura di un annuncio che l’aveva incuriosita, affisso ad un muro.
Piano andavo accorgendomi che forse invece erano i capelli scuri, lucenti, che le ricadevano sulle spalle e non le gambe, ciò che maggiormente di lei mi faceva fremere. E venivo preso dal bisogno assurdo di cospargermi il viso di quella pioggia, e di nuotare attraverso quella fino al collo, che intuivo sottile.
Poi, mentre la rimiravo attendere il verde del semaforo per attraversare il viale, si è verificato un altro fatto imprevisto.
Qualcosa le è caduto, un foglietto credo, forse uno di quei coupon pubblicitari che vengono dati in omaggio in certi negozi dopo un acquisto, e lei si è chinata a raccoglierlo. Ha piegato le lunghe gambe tenendole unite e quando è arrivata con il mento all’altezza delle ginocchia, mentre la sua mano destra raccoglieva con grazia il volantino, per un attimo il suo corpo, la coscia che si incurvava nel gluteo e poi continuava lungo la linea flessuosa della schiena e del collo, ha disegnato una esse perfetta sopra cui stava sospeso il bel capo bruno.
Mi sono dovuto appoggiare ad un muro per non vacillare e non urtare qualcuno. Era quell’ansa morbida di corpo accovacciato, la vera ragione della mia attrazione.
Da lì, per più di mezz’ora, a mano a mano che la nostra passeggiata proseguiva, lei davanti ignara e io dietro nella sua scia, ogni nuova cosa di lei che andavo notando, il vezzo ripetuto di scostarsi di lato i capelli con un piccolo scatto del capo, il seno pieno che mi si mostrava in una torsione improvvisa del busto, quella soltanto, l’ultima ad essere scoperta in ordine di tempo, restava e diveniva il particolare di lei che di colpo mi era più caro, quello che tra tutti me la rendeva più desiderabile.
E’ stato così, scoperta dopo scoperta, che alla fine siamo giunti alla piazza.
Lì, alla sua riva, mi sono fermato, mentre lei la attraversava con timone fermo, e sono rimasto a guardarla perdersi sempre più lontana per dimostrare a me stesso che avrei continuato a riconoscerla anche da tanto distante.
E quando è arrivata ai tavolini del bar e si è seduta, ho capito che potevo star certo: anche dalla cima di un palazzo, anche da un satellite l’avrei distinta tra tutti. Per sempre mi sarebbe stata nota quella figura di cui mi sembrava ormai di saper tutto ma di cui temevo ancora di non sapere abbastanza.
E allora ho dispiegato le vele, ho percorso la larghezza che mi separava da quel tavolino e mi sono seduto di fronte a lei che mi stava aspettando.
Sei in orario stavolta, mi ha detto.
Mi hanno riferito che qua si festeggia un anniversario, ho risposto.
Non sono pochi trent’anni, ha esclamato ridendo con quella bocca lucente che potrei disegnare senza mani, senz’occhi e senza matita.
No, non è vero, sono pochi, pochissimi, ho replicato, e adesso togliamoci il dente, ordiniamo da bere e poi torniamo a casa, che sto male dalla voglia di te.