Barbara, fra tutti, è quella che ricorda meglio.
L’unico nome a cui associa un viso nitido, una figurina, una voce.
Anche di Michele, tanto per dirne uno, saprebbe ripetere all’istante il cognome ma mai sarebbe in grado di rivederne il viso. Tutt’al più potrebbe dirlo alto, nel suo grembiule nero gualcito con il fiocco disfatto ma più di così niente da fare, nemmeno a sforzarsi. E così via per gli altri. Di Sandra, fila di centro, il nome e il viso ma non il cognome, di Enrico B. le scarpe ortopediche, di Piero quasi nulla, se non che il padre gli aveva già deciso il mestiere e che stava sempre accanto a Michele. Solo di Barbara, piccola di statura, capelli a caschetto, immacolata nel grembiule, rosa nel nodo perfetto del fiocco stirato, pulita come fosse sempre appena uscita di casa, conserva molto più di una foto sbiadita. E sopra ogni cosa la sequenza cruciale in cui accetta di scendere le scale della scuola dandogli la mano di fronte a tutti.
È strana questa sopravvivenza considerando quanto presto sia scomparsa dalla classe, trasferita o dio sa che, mentre il tempo delle elementari continuava a rotolare giù a rompicollo senza che si potesse far caso a chi restava a bordo, ai nuovi che salivano e dopo un attimo era come ci fossero da sempre, a chi scendeva e poco alla volta era come non ci fosse mai stato. Solo per lei non era andata così e ai suoi occhi era sempre rimasta seduta lì al primo banco anche quando al suo posto ci stavano altri che ora nemmeno saprebbe. Lei che non ha mai mancato di venire a trovarlo, ogni tre, quattro anni o sei o dieci, difficile dire, a ribadire la propria presenza incancellabile nella sua memoria e nella storia degli eventi trascurabili che sono il nerbo della storia di tutti.
Per questo va da sé sia Barbara la prima persona a cui ha pensato quando gli hanno spiegato come funziona quella specie di banca dati, “il social” come lo chiama Edoardo, che pare contenga tutti ovunque siano andati a finire.
Subito ha chiesto al nipote, impaziente di mostrargli il prodigio, di trovargli due o tre persone di cui già sapeva, giusto per capire il meccanismo e ora, non appena tutti saranno usciti di casa, ha deciso che proverà a cercarla.
Digiterà dapprima il cognome, poi restringerà il campo inserendo il nome e resterà in attesa.
Senza sapere, mentre lo sillaba a bassa voce come fa ogni volta che scrive, da quanto tempo nessuno pronuncia più quel nome.
Lo schermo sgranerà i risultati e lui rimarrà stupito di quante omonime gli appariranno in fila; poi prenderà ad esaminare con pazienza le piccole foto, aggiustandosi gli occhiali, cercando di ritrovare i suoi occhi scuri in ognuno di quei visi, sotto i segni degli anni, dietro le fattezze camuffate dal trucco, dalla luce, nelle espressioni artificiali studiate per sembrar meglio di quel che si è.
Senza sapere che non è in quei volti vecchi che si deve aspettare di trovarla. Senza immaginare che il tempo non ha mai avuto il tempo di toccare quel viso. Il viso di Barbara, di porcellana nuova.
Ignorando che solo pochi mesi dopo essere andata via, mentre ancora lui si voltava ogni cinque minuti verso il suo banco aspettandosi di trovarla al suo posto, stava già in ospedale, a Milano, dove la sua famiglia si era trasferita per farla curare. Che tutte le volte che l’aveva pensata in tutti gli anni che erano seguiti, quando gli era comparsa senza ragione in mezzo ad un gesto qualsiasi, quando s’era figurato di incontrarla per caso e mostrarsi a lei, di immaginare il suo stupore, quando l’aveva rivista di colpo anche se non c’entrava niente con quello che stava facendo, lei non c’era già più.
Non c’era da talmente tanto tempo che forse nessuno più sapeva ci fosse mai stata. Non i suoi genitori che nel frattempo erano scomparsi e nessun altro al mondo.
Piano il pomeriggio prenderà a farsi nero e ancora lui sarà qui, intento a perlustrare profili, visi, senza darsi per vinto per poi continuare a cercarla tra gli amici degli amici dei vecchi compagni, tutti lì invece, puntuali e presenti e poi altrove, per anno di nascita e in altre città, per altre strade fino a stancarsi nel mezzo del buio e spegnere tutto.
Ripeterà ancora il rito di questa ricerca negli anni a venire, ogni tanto, ogni volta con minor convinzione e ancora, come oggi, non resterà troppo deluso del proprio insuccesso.
Anzi, come stasera lo accoglierà con un po’ di sollievo.
Spegnerà lo schermo e non ci penserà più sapendo bene che sarà solo questione di tempo e lei tornerà, ovunque si trovi, chiunque sia diventata, che sia sola o sposata, che abbia nipoti o non abbia nessuno.
Comparirà senza avvisare, a metà di una risata, di un pensiero da nulla, tra le figure confuse di un risveglio qualunque, accetterà la sua mano e di nuovo scenderà le scale al suo fianco di fronte a tutti gli spettatori del mondo, ai compagni, ai maestri, ai genitori lì in fondo in attesa, nel piazzale gremito di voci.
Nel piazzale gremito di voci
15 lunedì Feb 2016
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