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dolore, fragilità, Ivano Ferrari, Ivano Ferrari Genova, Ivano Ferrari racconti, malattia dei cari, Mutamento, nozione della fragilità, perdita, Racconti, racconto breve
“O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla”
C.Pavese
E pensavo guardandoti dormire: noi siamo come millepiedi a cui si possono tagliare molte gambe e sempre continuiamo a star dritti. Una piccola smorfia e poi via, di nuovo a camminare. Perdiamo un amico, perdiamo un lavoro, perdiamo una fede e sempre riprendiamo il nostro cammino verso diosadove. Eppure, in mezzo a quella lunga fila di gambe, ne teniamo ben nascoste alcune, poche, che non sono come le altre, che non possono venire a mancare. Sono le gambe che reggono in piedi il millepiedi. Sono quelle che se mancano lo fanno cadere, incapace di rialzarsi.
Contiamo, speriamo, scommettiamo, preghiamo che il destino ci porti via tutto ma non quelle. Che si confonda, si distragga, non le riconosca, maligno com’è, e non le tocchi. Che il buio arrivi senza aver mai dovuto subire la loro perdita.
Poi un giorno arriva un intoppo, un inghippo, un incidente e una delle gambe vitali si ferisce, si compromette, per un soffio non la si perde. Ecco che giunge come uno schiaffo, come la realizzazione di una cosa sempre saputa, che si temeva, che si aspettava, la cognizione chiara della nostra fragilità. Di colpo sappiamo che nulla è così amato e prezioso e unico e perfetto da non poter essere perduto in un lampo. Che lo spazio che separa la felicità totale dal dolore assoluto è un capello e il tempo è un millisecondo e un perché non c’è.
Quando la nozione della fragilità tocca il viso di un essere umano lascia un segno che non si può più cancellare. Sono diventato capace di vederlo, invecchiando, nelle persone che incrocio per strada. Non sbaglio mai. Le donne e gli uomini che portano la traccia sono migliori, a volte. Capaci di guardare la fortuna per quello che è e di capire il dolore. Persone che sanno la cautela di stare vicino ad una creatura felice e capaci di stringersi a lui stando in disparte, quando dovesse piangere la propria felicità perduta. Oppure diventano animali spaventati, che la notte non dormono più nel timore che torni da loro quel destino onnipotente che oramai conosce il loro indirizzo.
Io che sono stato toccato dalla coscienza della fragilità che uomo diventerò, adesso?
Questo pensavo guardandoti dormire in quel letto d’ospedale.
E poi pensavo solo che se fossi guarita mi sarei fatto biondo, avrei imparato a volare, sarei andato a piedi più lontano del lontano del lontano. E avrei persino saputo rinunciare a te se questo fosse servito a non dover rinunciare a te. Questo e qualsiasi altra cosa avrei fatto per vederti guarita. Anche non vederti mai più.