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I’m wide awake/I’m wide awake/Wide awake/I’m not sleeping/Oh, no, no, no

Sono completamente sveglio/ Sono completamente sveglio/ Completamente sveglio/ Non sto dormendo/ Oh, no, no, no

(U2, BAD, Island Records,1984)

Ha scelto me tra tutte. A colpo sicuro.
Avevo accanto una biondina con un musino di lentiggini che era una favola e a destra la mia amica Jenny che non è per dire ma a scuola i ragazzi avrebbero dato il loro posto nella squadra e ogni altra cosa per un’ora insieme a lei. E lui invece niente. Ha scavalcato tutti e si vedeva già che camminava verso di me, che mi aveva vista, che ero io quella che voleva.
Era già da qualche minuto che si sentiva nell’aria che stava per succedere qualcosa. Il giro armonico non accennava a voler finire e ogni volta ripartiva da capo. Lui aveva l’aria di voler fare qualcosa che fosse ricordato. Voleva rompere gli schemi. Se il fuoco doveva essere veramente indimenticabile, quella puttanata dell’idolo, della distanza, dell’irraggiungibilità bisognava annullarla. Secondo dopo secondo, nota dopo nota, la tensione ha continuato a salire e la gente ha cominciato ad uscire fuori di testa e a spingere e a spintonare e a pressare contro le transenne. Lì davanti abbiamo incominciato ad avere veramente paura. C’è mancato niente che io fossi travolta, che svenissi.
A quel punto è arrivato lui e mi ha sollevata come fa un angelo.
Me tra tutte.
E io mi sono abbandonata a lui.
Mi sono consegnata a lui. Mi sono data a lui.
Poi ha ballato con me.
Ha ballato con me. Ha ballato con me.
Mi chiedi cosa ho fatto dopo il 13 luglio del 1985. Non sono sicura di ricordarlo.
Ho fatto un paio di figli, credo. Li ho cresciuti come sapevo. Non sono venuti né bene né male. A volte mi sembra bene. Spesso mi sembra male. L’uomo con cui li ho avuti era con me quel giorno ma presto si è scordato tutto. Ha fatto vedere una decina di volte il filmino ai suoi amici (“Quella è mia moglie sapete! Certo che si! Non vedete?”) e poi ha chiuso il capitolo. Ogni tanto lo vedo. Ora non potrebbe più stare con me in mezzo agli altri come quel giorno. Al massimo potrebbe far parte del personale della security o del botteghino, con quella pancia di birra senza sogni.
Gli anni novanta sono cominciati male e da lì sono stati una lunga merda oscura. Il mio lavoro se lo è mangiato la Thatcher a ottobre, un mese prima di togliersi dai coglioni. Ci ha messo altri tredici anni a schiattare e spero che i vermi non la trovino troppo disgustosa ora che godono della sua pessima e duratura compagnia.
Ho bevuto un po’ troppo, per qualche anno, ma ora non vado oltre il succo di pomodoro. Mi faceva sfiorire e ingrassare e io ci tengo a rimanere bella come ero allora, in quell’estate a Wembley con le gote arrossate dal caldo e i miei ventidue anni nei fianchi e nei capelli e dappertutto.
Ora lavoro da Starbucks a 5,8 pounds all’ora e ogni sei mesi mi rinnovano il contratto. Non mi lamento che da Wal-Mart e al Mc Donald stanno peggio e con il capo ci sono andata a letto una volta sola ma perché mi andava e non perché fossi costretta.
La sera torno a casa e ci sono così tante cose da fare che non ho il tempo di pensare. Il brutto viene quando i  figli sono con il padre e resto sola.
Allora ricordo quei minuti e li rivivo mille e mille volte e mi convinco che quello che c’è stato tra noi non è una cosa che può essere dimenticata.
E sento con tutte le mie forze che anche tu non puoi averlo scordato e che pensi spesso a me proprio come io non ho mai smesso di pensare a te nemmeno un minuto di questi quasi trent’anni.
E ancora so per certo che tornerai da me un giorno, magari mentre la vita mi fa male e mi sembra di soffocare, come allora. Verrai proprio verso di me e mi trarrai in salvo e tutte intorno schiatteranno d’invidia e mi porterai lì in alto dove tutto non è come qui e mi abbraccerai.
E poi balleremo.
Balleremo in faccia al mondo e io sarò di nuovo speciale, ancora una volta prima di morire.

Durante l’esibizione al Live Aid il 13 luglio del 1985 al Wembley Stadium di Londra gli U2 eseguirono una versione epica di Bad della durata di 12 minuti. Al termine della canzone ci furono due lunghi minuti strumentali durante i quali Bono, resosi conto che una ragazza del pubblico si stava sentendo male, saltò tra il pubblico, la portò sul palco, la abbracciò e ballò brevemente con lei. Questo  gesto improvvisato divenne un’immagine simbolo dell’intero concerto.