Tag
crisi morale, diavolo, Italia oggi, Ivano Ferrari, Ivano Ferrari Genova, Ivano Ferrari ginecologo, Ivano Ferrari racconti, letteratura, Racconti, Racconto
“Diavolo scelto di II livello Stork a rapporto, Signore!”
“Avanti Stork, dimmi come hai gestito la zona che ti ho assegnato e bada che se non mi soddisfa quello che mi racconti concerò il tuo scroto e ne farò un sacchetto per il mio cellulare.”
“Io, vostra Maestà, mi sarei permesso di incominciare dalla scuola.”
“Vandalismo, droga, stupri di gruppo, bullismo? Il solito repertorio?”
“Veramente no, vostra Pestilenza, se permette le spiego. Ho iniziato diffondendo l’idea che la scuola non servisse a nulla, che insegnasse cose vane, che non fosse utile nemmeno a trovar lavoro. Poi ho cominciato a demotivare gli insegnanti, a boicottare i loro contratti, a far calare il prestigio del loro lavoro nella società…”
“Non capisco dove vuoi andare a parare, non mi paiono cose diavolesche queste.”
“Aspetti prima di adirarsi, vostra miasmatica Ripugnanza, mi lasci finire. A quel punto ho iniziato con la riduzione dei finanziamenti, con l’abolizione delle materie, con la riduzione degli insegnanti di sostegno e per finire ho fatto si che sugli edifici calasse l’incuria, la fatiscenza, il degrado, l’abbandono.”
Il vecchio diavolo cominciò a borbottare producendo lo scoppiettio che fa il catarro nei bronchi. Era il suo modo di ridere e di approvare.
“Vai avanti ordunque, non sarà finita mica qui.”
“Il passo successivo è stato diffondere l’oblio, la dimenticanza, la superficialità. Solo così è stato possibile che si facessero sempre gli stessi errori e si potessero raccontare sempre le stesse menzogne. E se errare è umano perseverare…”
“… è diabolico!!!” la risata scosse le pareti del grande magazzino abbandonato dove le due creature stavano parlando.
“Poi ho soffiato nelle orecchie delle persone la notte, ho fatto avere loro visioni distorte. Ho lasciato che considerassero diritti quelli che diritti non sono e si abituassero a pagare per avere ciò che era loro diritto avere. Li ho indotti a comprare ciò che gli apparteneva, a chiamare bisogni le cose superflue e a considerare superflui i più normali bisogni. Ho fatto sì che trovassero normale vedere ogni giorno un poco ristretta la loro libertà, la loro dignità. Che si abituassero al pensiero che il debole è in fondo la causa della propria morte. Che i malati ricchi hanno spesso buone possibilità di guarigione mentre i malati poveri quasi sempre una prognosi infausta. Che la salute sta nello scaffale degli articoli di lusso e che i corpi degli ultimi sono la discarica più adatta per metabolizzare i peggiori veleni. Ho distribuito oggetti luccicanti che ne facessero idoli e loro li hanno adorati e hanno lottato per averli. Hanno rinunciato a ogni cosa per procurarseli. E quando hanno sentito il bisogno della bellezza gliene ho dato il surrogato in immagini artificiali ed effetti speciali.”
Un rumore ritmico interruppe il racconto. Il Supervisore applaudiva con entusiasmo e ogni volta che allargava le braccia dalle ascelle si levava un fetore di gangrena e di fossa comune. Stork si inchinò con la mano sul cuore.
“E così è giunto il tempo delle mosse finali. Ogni giorno ho iniettato nei cuori la cecità per le proprie capacità e nelle mani la dimenticanza di ciò che avevano e di ciò che sapevano fare. Ho diffuso tra la gente come un gas letale il complesso di inferiorità e il disprezzo di sé insieme all’ammirazione ebete per gli altri popoli. Ho lasciato che calpestassero senza accorgersene i sacrifici dei padri e che consentissero a chiunque di fare razzia di tutto quello che era stato costruito prima di loro. Negli acquedotti ho versato la disperazione e la rassegnazione e i giovani hanno cominciato a migrare come uccelli infelici. Ho sparso come un germe la certezza che non ci fosse speranza.”
“Sono ammirato e colpito, Stork. Ti segnalerò a chi di dovere, ci puoi contare. E quale sarà adesso la prossima mossa?”
Stork mostrò le zanne gialle da babbuino e le spalancò in un ghigno: “Non c’è nessuna prossima mossa, Signore. Adesso basta solo aspettare.”