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Ti ho trovato seduto sul solito muretto dove vai a pensare quando non c’è nessuno con cui giocare. Sei fortunato che i tuoi ti lascino uscire anche nell’ora più calda senza obbligarti al riposino dopo pranzo. Tu lo sai bene e non ha mai lasciato che questo alto privilegio andasse sprecato restando a casa, anche a costo di bighellonare da solo per ore in attesa che arrivi finalmente qualcuno dei tuoi amici in libera uscita.
Te ne stai con le gambe a penzoloni e le ginocchia che sono una geografia di croste come medaglie. I capelli mossi sulla fronte e sulla nuca appiccicati alla pelle sudata. La fionda al collo, pronta ad essere sfilata e usata contro chiunque, cristiani o lucertole. Arma letale che impieghi con la maestria di un Guglielmo Tell della via Pal.
Ti ho riconosciuto subito, con indosso quella maglietta viola che è stata la tua preferita per anni, mi sono avvicinato e mi sono seduto accanto a te a guardare i tuoi pensieri. Pensieri potenti. Potenti e vuoti, dolci e feroci. Tu non ti sei voltato, non ti sei accorto di me. Hai continuato a tenere la testa appoggiata al muro e a far rimbalzare i talloni contro il muretto. Prima il destro, poi il sinistro, poi il destro e poi il sinistro.
Non tengono mai il punto questi pensieri che fai. Sono immagini che cambiano veloci e senza sosta. Hanno colori accecanti e appena ne arriva uno nuovo, sono presto scordati. Tu assisti incantato allo spettacolo dei loro piccoli fuochi che nascono e si spengono di fronte ai tuoi occhi aperti mentre lasci senza rimpianti che ancora una volta lo zenit si faccia meriggio. Sono stato a lungo a guardare la tua rabbia salire e scemare, mischiarsi al riso, ho sentito di nuovo il tuo bisogno di essere speciale, il tuo urlo e la tua promessa. Sarò libero un giorno. Ti sono stato così vicino da sentire l’odore del tuo sudore e quello del detersivo che il calore liberava dalla tua maglietta e poi ho provato a parlarti. Non so se mi hai sentito. Se ti sei vergognato dell’adulto che sei diventato.
Vedi bene che libero non sono stato capace di esserlo. Non sono stato all’altezza del tuo giuramento d’estate e delle tue chiazze di nero sui gomiti e delle tue ginocchia spellate. Ho imparato a governare il pensiero, ho domato i tuoi piccoli fuochi per portarli dove credevo di volerli condurre ma così sono diventati ammaestrati e domestici, troppo spesso incapaci di fare paura.
Ma un vigliacco non lo sono mai diventato, lo giuro, posso baciare le dita incrociate se non ci credi. Né mi è venuta la paura della morte, che lascio ai meschini, e per una bella figura e un cuore di dama rischierei ancora la pelle. Non tutto è perduto, lo vedi. Non ha smesso di ripugnarmi chi si risparmia e non ho rinunciato al sogno che la mia vita sia destinata ad essere alla fine speciale. Spero tu non ti sia vergognato troppo, in fondo. Che non sia stato uno strazio lo spettacolo dell’uomo che saresti stato.
Quando sono arrivati i tuoi amici urlando con il pallone in mano e tu hai sorriso di un sorriso chiaro e sei corso via con un esplosione di gratitudine in gola, io sono rimasto a guardarti. Ti ho visto impazzare nel cortile e ho sentito che non mi vergognavo di te. Che ero contento di essere stato quel bambino che urlava più forte di tutti e pretendeva che tutto il mondo lo amasse. Di essere stato te, almeno per un po’.