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Come se gli avessero staccato la spina il dott. Tondi crollò di colpo con la faccia nel piatto della minestra durante una cena tra amici.
Mentre il dott. Beuto, collega e amico fraterno, constatava l’assenza del suo battito cardiaco, Damiano Tondi stava pensando che era molto strano avere la bocca e il naso dentro un liquido e non sentire alcun bisogno di respirare. Peraltro, per quanto quella posizione fosse sicuramente sconveniente, bisognava dire che la minestra calda sulla pelle gli faceva davvero un gran piacere visto che in tutto il resto del corpo sentiva un freddo polare. Si sarebbe ricordato in futuro di non mettere più piede in quel ristorante che risparmiava in modo così smaccato sul riscaldamento.
Mentre la gente urlava, gli strappava la camicia e qualcuno cominciava a percuotergli il petto, Damiano vide in lontananza una processione di persone che camminava verso di lui. Mano a mano che si avvicinavano ne andava riconoscendo i visi. Erano tutti i pazienti che aveva curato in quarant’anni di professione.
“Che strano. Alcuni di loro li incontro tutti i giorni e non hanno mai sentito il bisogno di dirmi nulla e invece adesso sembra che tutti improvvisamente mi vogliano parlare. Per una volta che sono al ristorante con due amici. Questo è proprio un mestieraccio”.
Le persone si disposero in fila e aspettarono il proprio turno per parlare con il dottore. La maggior parte di loro voleva ringraziarlo. Gli ricordava episodi recenti ed altri più antichi che lui stesso stentava a richiamare alla memoria ma che erano vivissimi nei ricordi di chi li raccontava e ancora pieni di significato. Alcune persone le riconosceva, altre avrebbe giurato di non averle mai viste e di altre ancora ricordava solo il nome e una sagoma indistinta che era così cambiata nel tempo da essere ormai irriconoscibile ai suoi occhi.
In ginocchio intorno a lui alcune giacche arancioni piene di scritte presero a scaricargli sul petto improvvise scosse di corrente dopo aver fatto allontanare tutti gli astanti con urla e ampi gesti. Il dott. Tondi dentro di sé sorrideva. Una volta alle tre di notte aveva estratto un pezzo carne enorme dalla trachea di un anziano che viveva nell’appartamento accanto vestito solo delle sue mutande. Altro che giacche mirabolanti.
I colpi delle scariche di corrente stavano ancora risuonando come tuoni lontani quando arrivò il turno dei pazienti che volevano ricordargli i suoi errori. Erano pochi, in verità, ma lui non li aveva mai scordati nemmeno per un attimo e ognuno di loro era una fitta al cuore ben più forte di tutte le scariche di tutte le giacche arancioni messe insieme.
Quando li ebbe tutti ascoltati, il vecchio dottore si trovò circondato da centinaia di persone che gli stringevano le mani, gli davano pacche sulle spalle e gli chiedevano con insistenza un piccolo discorso.
Nel piazzale del ristorante lampi blu avevano già illuminato ad intervalli visi addolorati per poi lasciarli nel buio, a guardare la sirena che si allontanava.
Il dottore era timido e non era a suo agio a fare discorsi. Si schiarì un po’ la voce e con gli occhi resi lucidi da un pizzico di commozione disse “Quindi alla fine siete stati contenti di me? Siamo andati bene, voi ed io, perché io, da parte mia, sappiatelo, sono stato fiero…tutto quello che sono stato capace di fare .., scusate, avete capito. Basta”.
Ci fu un lungo applauso entusiasta. Il dottore fece un inchino e poi disse: “Grazie. Ora vado. Anche se volentieri sarei rimasto ancora un poco con voi’”.
Al chilometro venti della tangenziale l’ambulanza spense la sirena di colpo, rallentò l’andatura e proseguì la sua strada senza più alcuna fretta.