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fuga, insoddisfazione, Ivano Ferrari, Ivano Ferrari Genova, Ivano Ferrari ginecologo, Ivano Ferrari racconti, Racconti, Racconto, realtà, sogno
Nonostante avesse indosso il cattivo sapore di una nottata di sogni grevi, Gregorio si svegliò con un bel sorriso. Era del tutto normale per lui svegliarsi di buon umore dal momento che stava nella sua vita come chi sta esattamente nel luogo dove vuole stare. Per di più questa cosa di sognare un unico lungo sogno angosciante gli capitava tutte le notti e svegliarsi rappresentava per lui una sorta di sollievo. Non aveva nemmeno aperto gli occhi che già era balzato in piedi. Una giornata piena di promesse lo attendeva e non c’erano ragioni per rimanere a poltrire a letto. Come d’abitudine fece una veloce doccia per iniziare ogni cosa con quella sensazione di freschezza interiore che amava e per fugare ogni residuo di sonno. Asciugandosi si guardò allo specchio: poteva essere soddisfatto del suo corpo, tonico e asciutto come quando era un ragazzo, la natura con lui era stata generosa. In sala da pranzo trovò la colazione apparecchiata, la tovaglia bianca, una rosa fresca dal lungo stelo in un piccolo portafiori di cristallo e appoggiato al bicchiere un biglietto d’amore. La donna che amava lo amava almeno quanto lui l’amava. Questa certezza era in lui tutto il giorno e lo scaldava e lo proteggeva come un’armatura. Tra breve si sarebbe messo al lavoro, in giardino quest’oggi, vista la splendida giornata.
Aveva molto da fare anche se per chiamare lavoro quell’occupazione ci voleva tutta la buona volontà. Era un piacere, una gioia, scrivere, non un lavoro. Era quello che avrebbe voluto fare sin da quando era un bambino e con un po’ di capacità e un po’ di fortuna era riuscito a trasformare davvero questa sua predisposizione in un modo per vivere, e anche piuttosto ben remunerato, per giunta.
Verso l’ora di pranzo Gregorio raggiunse Aurora in centro come tutti i giorni per pranzare insieme. Da qualche anno i ragazzi erano fuori per studio e loro avevano tutto il tempo a disposizione. A volte capitava persino che dopo pranzo andassero in un piccolo albergo come amanti clandestini e facessero l’amore come ragazzi. Gregorio non scriveva mai nel pomeriggio e dedicava il suo tempo a molte diverse occupazioni. Vedeva amici, faceva sport, partecipava a incontri e conferenze letterarie a cui era spesso invitato e leggeva moltissimo. “Se uno non vive, come può scrivere?” diceva sempre.
Il tardo pomeriggio e la sera erano sempre dedicati ad Aurora. Passavano insieme le ore più belle raccontandosi i fatti della giornata e molto spesso alla sera uscivano. Avevano molti amici, Aurora e Gregorio, amici veri, su cui si può contare. Quella sera, per esempio, andarono a cena fuori con i Magnani. Il ristorante aveva appena aperto e la qualità del cibo sembrò a tutti fantastica. Risero, si capirono, si sentirono vicini e ad un certo punto Gregorio ebbe una bellissima idea per un racconto che avrebbe potuto essere un soggetto perfetto per un film, chiese con urgenza una penna al cameriere e se l’appuntò sulla mano come faceva da ragazzo. Tutti risero inteneriti e fu bellissimo. Poi Gianni ebbe l’idea della vacanza in Islanda e tutti furono entusiasti e così conclusero la serata persi nei progetti e nelle fantasticherie di quel viaggio che, se lo giurarono, quell’estate avrebbero fatto tutti insieme.
Giunti a casa, Aurora e Gregorio chiamarono i ragazzi al telefono e furono felici di sapere che tutto andava per il meglio e che stavano bene. Aurora si commosse persino un pochino sentendo la loro voce.
Era già molto tardi quando Gregorio appoggiò la testa sul cuscino e si addormentò.
Aveva bevuto un ultimo goccio, aveva sviluppato brevemente l’idea che aveva avuto a cena e aveva guardato le stelle che quella sera erano una miriade sparpagliata nel cielo nero.
Era già molto tardi quando Gregorio si addormentò e il respiro di Aurora lo accompagnò per mano nel sonno.
Era molto tardi quando si addormentò e sognò.
Come tutte le notti sognò.
Sognò di svegliarsi distrutto all’inizio di una giornata faticosissima senza essere ancora riuscito a recuperare la fatica della giornata precedente.
Sognò di restare ancora nel letto fingendo di non aver sentito il suono sguaiato della sveglia, di alzarsi con la tristezza nel cuore, di andare in bagno e di tenere la luce spenta per non vedere nello specchio la propria immagine bolsa e invecchiata. Sognò di stare seduto sul gabinetto ad occhi chiusi sentendo il tanfo della giornata che lo attendeva e di sentire con tutto il proprio essere il disgusto della propria prigionia.
Sognò una moglie in ciabatte e vestaglia che lo baciava per abitudine senza vederlo.
Sognò il proprio uscire nella città grigia, con la propria vita anonima uguale a tutte le altre, la propria giornata fatta di testa china, di livore e di frustrazione.
Sognò la propria solitudine. Il bisogno di rapporti sinceri e di amore vero. Sentì sulla propria pelle la certezza di valere di più di quanto il mondo lo considerasse.
Sognò di tornare a casa e trovare esattamente quello che pensava di trovare. Di provare a raccontare il proprio nulla ad una donna che era troppo stanca e insoddisfatta per vederlo.
Di addormentarsi davanti alla televisione di un sonno balordo che assomigliava a una fuga. Di chiudere gli occhi con la certezza che domani sarebbe stato identico a oggi.
Poi la notte finì e alla fine della notte arrivò un mattino nuovo.
Gregorio si svegliò.
Si scrollò di dosso i brutti sogni e si trovò di nuovo a stare nella propria vita e ci stette.
Ci stette come chi sta esattamente dove vuole stare.