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Io non so il male di un meteco seduto
s’un sasso d’Attica a piangere
il latte dei fichi mozzati
dai lacedemoni ed arsi nel sole,
né so lo scavare di camola
nel cuore kosher di un bottegaio
che risale la strada di casa 
una sera a Varsavia 
nel trentanove.
A malapena so quello che sento io
a raccattare la mia ombra in briciole
su questo scrittoio truciolato,
che tu sappia fra cent’anni e un giorno
futuruomo
che non si piazzava poi così male
nella scala del sentirsi male
il quieto star male di uno qualunque
a cui è toccato questo turno
che vale quanto un altro in sorte.
Che il male ha poche pretese
quando lascia a bocconi
se non fare male
e la scheggia della mia ombra china
anche se non la puoi ingoiare
usala pure come fermaombre
futuruomo
ma non la dimenticare.