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Stettero in silenzio sulle due poltrone di velluto rosso un po’ liso per due ore filate. Trasalirono, chiusero gli occhi, si volsero brevemente a guardarsi, sorrisero nel buio e si strinsero la mano con i visi illuminati dai colori che rimbalzavano dallo schermo. Alto sulle loro teste un cono di pulviscolo luminescente trasportava nell’aria la storia che li stava stregando per dipingerla vivente sul fondo della sala.
All’uscita salutarono frettolosamente una coppia di amici che pure era stata seduta con loro, due file più indietro, e si allontanarono tenendosi stretti sottobraccio, timorosi di doversi fermare a parlare di ciò che avevano visto e di cui preferivano tenere il sapore esclusivamente per sé, ancora per qualche minuto.
Era passato già parecchio quando lei parlò per prima.
“Mi è piaciuto moltissimo. E a te?”
“Moltissimo” ripeté lui.
Lei stette qualche istante in silenzio, poi sorrise e gli appoggiò la guancia alla spalla.
“Il personaggio di lei è straordinario”.
“Anche lui non scherza!” esclamò accarezzandola.
Avevano tutta la complicità di chi ha vissuto la stessa intensa esperienza e può parlarne senza doversi spiegare troppo.
“Ma lui quale? Jules o l’altro?”.
“Come? Chi? Lui, l’unico lui che contasse! Michael!”.
“Ma, scusa amore, stava tutto in questo dualismo. Come fai a dire che uno contava di più dell’altro? E poi non si chiamava Michael”.
“Sono sicuro di ricordare bene il nome. L’avranno ripetuto un milione di volte nel corso del film. Che capolavoro la scena del cervo! La storia è già tutta lì”.
“Il cervo? A me é piaciuta la scena della gara di corsa!”
“Il labirinto di Saigon..”.
“Io non capisco di che cosa tu stia parlando!” fece lei indispettita.
“Cara, penso che tu ti sia addormentata e abbia visto un film tuo personale che proiettavano in una sala della tua testa.”
“Cosa? Stai scherzando?”.
Finirono per litigare furiosamente. Sostenevano entrambi di avere visto film diversi e non c’era verso che l’uno convincesse l’altro. Si sentivano infelici, estranei, distanti e si accanivano nel cercare di persuadersi a vicenda di aver visto male e di essersi, inspiegabilmente, ingannati. Andarono avanti fino a tarda notte finché, in preda ad una vera e propria ossessione senza rimedio, decisero di telefonare ai due conoscenti che avevano incontrato all’uscita della sala.
“Ci faremo due belle risate!” fece lui sardonico.
“Non vedo l’ora” rispose lei con un sorrisetto di scherno.
In quell’istante esatto il telefono nella mano di lui squillò illuminandosi. Erano le tre del mattino e questo li mise in allarme.
“Pronto?”
“Scusate l’ora. Lo so che stavate sicuramente dormendo ma qui abbiamo un emergenza e non si riesce a trovar pace.”
“A chi lo dici..” rispose lui un po’ stranito riconoscendo la voce della persona a cui si stava accingendo a telefonare.
“Il nostro problema riguarda il film di stasera..”.
“Come? Anche voi..”
“Io sostengo che Tracy e Mary sono i due modelli d’amore che abitano nel cuore di Isaac e non riescono a convivere mentre Sandra qui non so cos’abbia visto. Continua a parlarmi di una misteriosa lettera che dovrebbe scagionare un tale Oskar e di un cappotto rosso. Ci stiamo scannando da ore”.
“E della guerra cosa mi dici?” rispose lui con tono debolmente speranzoso e una premonizione disperata nella voce.
“E certo! La grande guerra!” intervenne lei che era lì accanto ad origliare. Lui la guardò con due occhiacci che facevano paura.
“Quale guerra? Ti ci metti anche tu?” si lamentó l’altro al telefono.
Si sentiva in sottofondo la voce di Sandra che gridava qualcosa sul dopoguerra.
La telefonata se possibile peggiorò la situazione. Sfiniti si addormentarono all’alba, promettendosi che la sera seguente sarebbero tornati al cinema e avrebbero capito chi dei due doveva prenotarsi una bella visitina dallo psichiatra.
Un po’ provati dalla notte in bianco e dalla giornata di lavoro, la sera stessa, in perfetto orario per lo spettacolo delle nove, i due si trovarono alle casse. I conoscenti della sera precedente erano già in coda e fecero finta di non vederli.
Si sedettero accanto senza abbracciarsi.
Lui fu felice del film in programmazione.
Damiel e Cassiel che osservano dall’alto lo scorrere delle vite degli uomini e i loro pensieri, la loro impossibilità di aiutarli, la grande rinuncia per amore di Marion. Ad un certo punto si sentì quasi un angelo, sprofondato in quella poltrona rossa.
Lei al contrario restò turbata dal suo.
La perdita dell’ispirazione di Guido e la sua lunga ricerca, il rapporto con le donne della sua vita, l’iniziazione sessuale, la giostra e quell’assurda marcetta della fine, le immagini folli eppure indimenticabili, tutto contribuì ad agitarla. A darle la sensazione di aver assistito a qualcosa di misterioso e di grande.
All’uscita non videro i due conoscenti che evidentemente erano usciti prima del tempo.
Si avviarono lungo la strada l’uno accanto all’altra con il cuore rapito dalle immagini che si muovevano e avevano ancora vita nei pensieri di ognuno.
Mano a mano che i passi misuravano il tempo del loro ritorno come metronomi, presero ad avvicinarsi impercettibilmente l’uno all’altra e dopo aver attraversato di corsa un incrocio sorreggendosi per non scivolare sulla strada bagnata, lei appoggiò la testa sulla sua spalla.
“Mi è piaciuto davvero tanto e mi ha turbata. E a te?”
“Anche a me”.
“Bello l’intreccio, il clima surreale, l’uso del bianco e nero, la nostalgia dolente, tutto”.
“Bello il simbolismo, l’andamento poetico, l’incomunicabilità”.
Si guardarono a lungo negli occhi.
Più volte sembrò che dovessero dirsi qualcosa.
Poi giunsero al portone di casa, lo aprirono mettendoci una mano per uno mentre con l’altra non smettevano di tenersi abbracciati, attraversarono in silenzio l’androne e furono inghiottiti dalle porte scorrevoli dell’ascensore.