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L’uomo che sta seduto di fronte alla scrivania ha gli occhi rossi. Il brigadiere che sta al computer ce li ha anche più rossi di lui a furia di guardare tutto il giorno lo schermo e continuare a smanettare col mouse. Avrà trentacinque anni, occhio e croce, il carabiniere e l’uomo lo stesso. Sono passati i tempi in cui le denunce si raccoglievano pestando con due dita sui tasti dell’Olivetti e l’uomo e il brigadiere aspettano in silenzio che si apra il programma. Quando il computer è pronto per raccogliere la denuncia, l’uomo lo sa ancora prima di sentirselo dire perché il brigadiere ha un’espressione infantile di soddisfazione che non sa mascherare.
Il denunciante declina le proprie generalità e le dita del militare le riportano veloci sulla tastiera. Quando finalmente arriva la domanda sul fatto da denunciare, l’uomo inspira profondamente.
“Intendo denunciare una violazione dell’art. 580 del codice penale”.
Il militare assume l’espressione di una sfinge.
“Lei ricorda l’articolo 580, immagino”.
“In questo momento, veramente..”
“Art. 580: istigazione o aiuto al suicidio. Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene…”
“D’accordo, d’accordo, andiamo avanti. Chi sono i soggetti? Chi è l’istigatore e chi l’istigato?”
“Mi perdoni la deformazione, sono laureato in legge. Gli istigatori dice? Bè, si tratta di un bel po’ di persone”.
“Vediamo di specificarle, per piacere”.
“Dunque. Inizierei con Catozzi Luigi e Santi Marta in Catozzi, miei genitori, i miei professori quasi tutti senza eccezioni, se vuole la lista completa l’ho qui in borsa, Don Enrico Caviglia, mio insegnante di catechismo, il Dott. Vito Scorsetti, direttore della mia agenzia bancaria, mia moglie Scotti Chiara in Catozzi nonché un’altra decina di persone, il cui elenco, le ripeto, posso consegnarle anche subito. L’istigato, nella fattispecie, sono io”.
“Spero che lei sappia che sporgere denuncia per un reato penale non è uno scherzo”.
“Ne sono perfettamente conscio e desidero ugualmente procedere”.
“Molto bene. E in che maniera tutti questi soggetti l’avrebbero istigata al suicidio? A quando risalgono i fatti? Hanno agito separatamente o in concorso tra loro?”
“I fatti si sono svolti nell’arco degli ultimi, diciamo, trent’anni. I soggetti hanno agito separatamente, a volte, e altre volte in concorso tra loro. Il modo con cui mi hanno istigato al suicidio è stato con le parole, la persuasione, l’insistenza reiterata, indicandomi i modi per attuarlo e fornendomi gli strumenti materiali per metterlo in atto”.
“Abbia pazienza, io faccio un po’ di fatica a credere che queste persone che avrebbero dovuto esserle vicine, parenti, congiunti, insegnanti, si siano adoperati tutti per il suo male”.
“Mi perdoni brigadiere, lei come chiama quando una persona viene spinta a fare qualche cosa che finirà certamente per ucciderla? E quando sin dalla più tenera età si cerca di persuaderla che questa è l’unica strada che gli si pone e che tutte le altre sono indegne, disoneste e immorali?”
“Be’, si, certamente, ma bisogna specificare che cosa intende per “ucciderla””
“Per ucciderla intendo ucciderla”
“D’accordo, andiamo avanti”
“Io sono morto, brigadiere. Voglio che lei lo metta a verbale. L’istigazione ha qui l’aggravante dell’avvenuto suicidio, del successo dell’atto criminoso. Ecco il solito matto, penserà lei. Stia tranquillo, non è questo il caso. Lei sa bene che ogni giorno vengono espiantati organi a persone che vengono giudicate morte anche se hanno il cuore che batte. Le funzioni vegetative del corpo non costituiscono la prova di essere vivi e io certamente vivo non sono.
Apparentemente ho fabbricato con le mie mani la prigione in cui mi sono impiccato. La strada che gli istigatori mi hanno indotto ad imboccare con il sistema dei premi e delle punizioni, con il plagio, con il lavaggio del cervello, con i condizionamenti, è quella che mi ha ridotto al cadavere senza vita che lei vede di fronte a se. Dodici ore di lavoro precario al giorno da anni, senza una vacanza, manovalanza a basso costo, zerbino, nell’odio di fare quel che faccio e nel terrore di non poterlo più fare, devastato dai sensi di colpa se penso di affrancarmi da tutto questo per un solo istante o se anche solo mi azzardo a desiderare in cuor mio di farlo, un mutuo che finirò di pagare forse a settant’anni, le rate della macchina, le rate della lavastoviglie, le rate del telefono. Ogni desiderio, ogni sogno morti in me, gli scampoli di tempo libero come oasi agognate che bastano sempre meno”.
“Ma, mi perdoni, questa è la vita di quasi tutti! Che cosa avrebbero dovuto fare i suoi genitori se non prepararla alla realtà che si sarebbe trovato di fronte?”
“Mi scusi se mi permetto, brigadiere, lei ha figli?”
“Si, ho un bambino di quattro anni”
“Anche io ho un bambino della stessa età. Quando lei vive esperienze infelici le capita mai di pensare che non vorrebbe mai che suo figlio le dovesse un giorno a sua volta provare?”
“Si, certamente”
“E allora mi spiega per quale ragione noi tutti ci ostiniamo ad addestrare i figli per essere le prede perfette di quelle stesse fiere che azzannano ogni giorno noi? Vittime designate delle stesse ingiustizie?”
“Be’ perché forse pensiamo che la realtà non saremo certo noi a cambiarla e allora tanto vale crescerli pronti”
“Ecco, l’ha detto lei. Non provare a cambiare una realtà che vediamo chiaramente malata ma preparare i nostri stessi figli, la loro carne che amiamo piú della nostra, quella dei nostri cari, degli allievi che ci sono affidati, ad ammalarsi di quella stessa realtà e a morirne”.
Il brigadiere lo guardò fisso negli occhi. Avrebbe dovuto buttarlo fuori, questo era evidente, ma c’era qualcosa nei pensieri di quell’uomo che lo costringeva a continuare quella discussione assurda.
“A sentir lei bisognerebbe incriminare praticamente tutte le figure adulte , i genitori e gli insegnanti del mondo!”
“Esattamente, l’ha detto. Questo è il mio obiettivo. Questo procedimento penale costituirà un precedente. Ho studiato il caso. Sarà chiaro a tutti che cambiare le cose brutte del mondo che abbiamo di fronte fa parte dei nostri doveri di genitori, anzi è il più importante dei nostri doveri. Che “amare” i figli non basta se ci limitiamo a crescerli, svezzarli per poi gettarli a morire nel tritacarne di un mondo che non ci piace ma di cui ci siamo sempre disinteressati. Magari proprio con la scusa di doverci occupare di loro. Educarli così, trasmettendo loro gli stessi insegnamenti e gli stessi valori che fanno di noi degli schiavi infelici, è istigarli all’autodistruzione. Al suicidio, appunto, reato secondo..”
“… l’articolo 580 del codice penale!”.
“Esatto! Ora le dispiace se andiamo avanti con questa denuncia? Alle nove avrei appuntamento con i giornalisti”.