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Hanno fatto l’amore una volta e poi un’altra e poi ancora e si sono svegliati vicini, un po’ stupefatti, con addosso lo stesso odore. Hanno divorato la colazione senza smettere di guardarsi, ridendo senza ragione, senza aver voglia di parlare. Si sono fermati a baciarsi ogni due minuti e per arrivare alla macchina ci hanno messo un tempo infinito.
Ora lei lo guarda guidare. Osserva la sua espressione placida, pacifica, la sua calma sicura, il suo sguardo benevolo mentre segue la strada e le cerca con la mano la mano mentre con l’altra tiene il volante.
E di colpo si sente irritata dalla sua felicità.
“Ti senti bene?”
Lui fa cenno di sì con la testa.
“Perché?”
“Sono felice. Penso che stasera ci rivedremo.”
“E pensi che faremo di nuovo l’amore?”
“Be’ penso di sì, se tu lo vorrai, s’intende.”
“E sei sicuro che io lo vorrò?”
“Che succede, amore?”
“Rispondimi, per piacere. Ne sei sicuro?”
“Ma sì, penso di sì.”
“E sei anche sicuro che stasera io ti amerò ancora.”
“Sì, credo di sì.”
“E che domani mattina ci sveglieremo come stamattina e poi l’indomani lo stesso.”
“Io lo spero.”
“E se non fosse così?”
“Non lo posso sapere. Mi sembra difficile che quello che c’è possa svanire così facilmente. Per ora mi godo questo momento meraviglioso.”
“Ma se tu sapessi già che stasera, domani sarà tutto finito, saresti ancora così felice?”
“No, sicuramente no, ma non ci voglio pensare.”
“E come ti sentiresti? Descrivimelo.”
“Non mi piace questo gioco. Non la potremmo piantare?”
“Ti prego descrivimi come ti sentiresti.”
“Tutto mi sembrerebbe cupo e buio. Mi sentirei orfano, solo. Cercherei di farti cambiare idea, di parlarti. “
Assume involontariamente un’espressione da bambino infelice che la riempie di una gioia oscura e selvaggia. Che le sale dallo stomaco, che la fa avvampare.
“Non ti senti più tanto felice adesso.” sussurra quasi trionfante
“Non può esserci felicità se ci si concentra sulla fine della felicità. Nè vita possibile se si pensa ogni istante alla morte. Che scoperta pensi di aver fatto? Che modo è questo? Dobbiamo meritarci il buono che arriva senza sciuparlo.”
“Ma le cose finiscono sempre. Inevitabilmente. E’ questa la verità. Essere felici vuol dire non pensare alla verità? Negare la verità, fingere di non vederla?”
Il viso sofferente di lui è bello. Bello da morire. E lei deve fare uno sforzo per non riempirlo di baci. Per non stringerselo al petto.
“Tutto forse finirà ma ora non è ancora finito. Smettiamola ti prego. Non rovinare tutto.”
Il tono supplichevole di lui la colma di una rabbia irresistibile.
“Se tutto finirà allora tanto vale farlo finire subito e non prolungare l’agonia.”
“Ma che dici? Sei impazzita?”
“Accosta per piacere.”
“Ma tu stai scherzando.”
“Ho detto accosta.”
Con una brusca sterzata la macchina si porta a lato della strada e inchioda.
Lei scende dall’auto e pensa che forse non sta facendo sul serio e magari giocherà ancora un po’ e poi la smetterà. Poi incrocia gli occhi smarriti e increduli di lui che la guardano come appannati e si inebria del suo potere. Sente che è un potere più grande, più certo di quello che aveva su di lui fino ad un’ora prima. E non sa resistere.
“Addio”
La pelle del viso di lui è a chiazze, i lineamenti sono torti, deformati dalla sofferenza. Consolarlo, abbracciarlo, rassicurarlo è l’unica cosa che lei vorrebbe con tutta sé stessa mentre resta ferma a guardarlo morire.
L’auto riparte con rabbia.
Lei resta sola sul marciapiede, ubriaca, feroce, come compiaciuta e incuriosita dallo spettacolo dell’altra sé che la possiede.
Poi prende a camminare senza una direzione, senza vedere nulla, raggiunge una panchina, si siede con le gambe unite, posa le mani sulle ginocchia e scoppia in un pianto senza fine.