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Ero giunto all’età in cui si può ambire ad un amore vero. Qualcuno con cui pensare di metter su vita.
Mi restava solo da scegliere tra il metodo naturale e la Selezione.
Ci avevo pensato tanto, ci pensavo fin da quando ero un bambino, come tutti d’altronde, e avevo deciso che volevo tentare la Selezione.
Sì certo, il metodo naturale era più romantico. L’idea di lasciar fare al caso, che la persona giusta fosse lì, da qualche parte nel mondo, e che io la dovessi cercare e trovare, magari, o non trovare affatto, era affascinante. Ma bastava capirsene anche solo poco, aver letto qualche libro del passato per capire che uno la persona giusta poteva anche non trovarla mai. Poteva esistere, e nonostante ciò uno poteva non trovarla mai. E un rischio così, a me che all’epoca ero ancora impaziente, sembrava troppo grande.
Peraltro non è che la Selezione non avesse i suoi rischi. La banca dati mondiale disponeva dei file di tutti gli abitanti del globo, è vero, e poteva incrociarli tutti tra di loro, ma la cosa non è che per questo fosse risolta.
Si era provato i primi tempi a lasciar fare completamente al computer, ma era stato un fallimento. I criteri con cui la macchina, in base ai dati in suo possesso, decideva che il soggetto X sarebbe stato perfetto per il soggetto Y, non funzionavano quasi mai. E sì che le variabili fisiche e caratteriali analizzate erano davvero tante. E nonostante mancava sempre qualcosa.
Erano le aspettative, che le persone nutrono quando pensano alla propria anima gemella, che il computer non riusciva a indovinare. Perché quelle aspettative sono irrazionali, fantastiche, e sono fatte di ricordi, di fragilità, di speranze nate nell’infanzia, di letture, di sogni e dell’immagine che ognuno ha di sé stesso. E anche quella, a guardarla bene, è una cosa difficile da definire, sfuggevole, immaginifica, deformata, cangiante, non veritiera. Non veritiera ma vera.
Siccome la Selezione non faceva i conti con tutto questo fioccavano i fallimenti e le delusioni.
Per rimediare al pasticcio si era deciso di introdurre un elemento umano decisivo nella Selezione. Il soggetto che decideva di affidarsi doveva rispondere ad una serie di quesiti e poi descrivere la persona che avrebbe voluto incontrare. Poteva scegliere di scriverne, di parlarne, di fare un disegno o suonarla in musica, come preferiva.
Il computer interpretava, identificava e poi cercava nei suoi archivi infiniti, all’interno del gruppo di soggetti compatibili, il principe azzurro o la principessa relativa. Una specie di agenzia matrimoniale moltiplicata per cento, mille, un milione di volte.
Non che la cosa così non continuasse a presentare qualche problema.
Eh sì, perché in questo modo ognuno si trovava ad avere il compagno o la compagna che sapeva descrivere. E questo faceva sì che le cose non andassero sempre proprio come uno si aspettava.
Eppure nonostante tutto ciò io ero convinto di farcela.
Mi ero preparato per giorni e giorni a quel giorno. Il giorno fatidico. Il centro per la Selezione più vicino era nel capoluogo di provincia, ad una ventina di chilometri da casa mia.
Quella mattina ero teso e non ero riuscito a mangiare niente. Arrivai alle nove nonostante la Selezione iniziasse alle undici. Prima c’era lo spettacolino con le nuove coppie nate dalle Selezioni della settimana precedente ed era molto malvisto non assistervi. Mi accomodai tra le poltrone con la bocca secca ed un lieve tremore alle mani.
Saremo stati una quarantina tra ragazzi e ragazze, e poi c’era qualche persona di mezz’età, ma poche, perché la Selezione si poteva fare una volta sola nella vita e questa era una regola che non ammetteva deroghe, pensata per dare spazio a tutti gli aspiranti.
Cominciò la musica e si accesero le luci. La passerella si illuminò e le coppie cominciarono a percorrerla a braccetto come in un défilé. Le telecamere delle televisioni riprendevano ogni cosa e la trasmettevano in quello che era il più seguito show del mattino, sveglia per milioni di persone.
Per primo sfilò un poeta. Era delle mie parti e lo conoscevo sin da bambino. Era dotato di un certo talento, a quanto ricordavo. Teneva sottobraccio una sirena dai lunghissimi capelli biondi che, poveretta, faticava da morire a mantenersi in equilibrio con quella coda di pesce. Stava praticamente appesa al braccio del suo fidanzato per riuscire a reggersi dritta e con l’altra mano cercava di coprirsi il seno nudo. Mentre nell’aria si spandeva un imbarazzante sentore di pescheria, guardai il viso del mio amico: era la maschera stessa del disagio e dell’infelicità.
La coppia che seguiva era composta da una ragazza di si e no venticinque anni che stava accanto ad un energumeno tatuato con un cappello piumato in testa ed un ridicolo mantellino da principe sulle spalle.
Dietro di loro marciava un giovanotto mingherlino che si affiancava ad una donna bellissima completamente nuda con due attributi maschili penzolanti tra le gambe.
Poi, una di fila all’altra, seguivano tutte le altre coppie.
Un ragazzo molto grazioso che teneva per mano una ragazza che era praticamente la sua fotocopia al femminile
Una ragazza timida con un vecchio che avrebbe potuto essere suo nonno.
Un signore di mezz’età con un ragazzo che avrebbe potuto essere suo nipote.
Bassi con spilungone, occhialute con body guard, ragazzine con sosia di cantanti famosi, un uomo con la moglie del suo amico, una donna con il marito della sua migliore amica e un corteo di altri binomi variamente assortiti che avevano tutti in comune un’aria non propriamente raggiante e il sorriso forzato con cui guardavano nelle telecamere.
Ebbi voglia di rinunciare ma nel frattempo avevano già cominciato a chiamare e il mio nome era tra i primi.
Feci buon viso a cattiva sorte. Quando fui nella stanza del colloquio ce la misi tutta per essere preciso nelle risposte e il più sincero possibile. Usai tutta la mia capacità espressiva affinata da anni di letture per descrivere a parole la mia donna ideale. Mi impegnai allo spasimo che non ci fossero ambiguità, fui preciso, minuzioso, perfino pedante. Quando terminai ero sfinito ma ero convinto di aver fatto un buon lavoro.
Non mi restava che attendere che mi venisse comunicato l’abbinamento. Passai i giorni seguenti in uno stato di febbrile attesa. Non vedevo l’ora di vedere con i miei occhi la donna dei miei sogni ma soprattutto colei che aveva descritto proprio me come uomo dei suoi sogni.
E invece, con mia gran sorpresa, quando giunse il giorno tanto atteso non venni convocato. E lo stesso avvenne il giorno seguente e il giorno dopo ancora.
Non sapevo capacitarmene: non era mai successo niente del genere che io sapessi. Quando ormai disperavo e stavo per telefonare al centro di Selezione per avere spiegazioni, appresi dai giornali il gran fatto.
Il sistema di Selezione era stato abolito probabilmente in via definitiva in tutto il paese.
A quanto pareva aveva incontrato un caso irrisolvibile e non era riuscito a procedere ad un abbinamento e questo aveva messo in discussione l’intero metodo.
Ero molto giovane all’epoca e non ci misi molto a dimenticare quei giorni e tutta la storia della Selezione.
Pochi anni dopo sposai Chiara, una compagna dei tempi del liceo, avemmo due figli e credo che saremmo ancora insieme, a distanza di quarant’anni, se lei non si fosse ammalata e non se ne fosse andata l’anno scorso.
Mi sono domandato più volte in questi ultimi mesi di solitudine come sarebbe andata la mia vita se il computer avesse davvero selezionato per me la donna che gli avevo descritto. Ho anche cercato di ricordare come pensavo dovesse essere questa creatura ideale e quale caratteristiche avesse, ma non sono riuscito in nessun modo a ricordarlo.
Per quanto mi sforzi ogni volta che penso alla donna perfetta per me, non vedo altre che Chiara, il suo viso, la sua voce che mi mancano da stare male. E penso se dovessero reintrodurre il grande sistema della Selezione mi presenterei subito, adesso, visto che la mia unica occasione non ho avuto modo di usarla all’epoca.
Mi presenterei e descriverei Chiara, per filo e per segno, nella speranza di averla di nuovo, se fosse possibile.
Magari si potesse.
Magari.