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Quando lo incontrò fuori dal locale dove aveva preso un aperitivo in compagnia di un libro, Cloe stava vivendo un momento particolare. Si era da poco conclusa una storia difficile e lei si sentiva come svuotata, incapace di capire quello che provava.
Era simpatico e sfacciato, il tipo, e anche belloccio, per dirla tutta, e nonostante lei avesse fatto ogni sforzo per mostrarsi distaccata, non aveva potuto fare a meno di rimanere impressionata dalle sue premure, dalla sua gentilezza, dalla sua prorompente vitalità.
Il giorno dopo tornò nello stesso locale, che non aveva mai frequentato in precedenza.
“E’ tranquillo” si disse “e i piattini sono generosi”, poi rise tra sé: non era mai stata brava a raccontarsi balle. Quella sera stettero a parlare fino a che non si fece incredibilmente tardi e fu fantastico sentirsi trasportata, avvolta dall’ammirazione che lui le mostrava, dalle sue cure, dalla confidenza con cui la trattava, come si conoscessero da sempre. Finirono la serata a casa sua e quando furono sazi d’amore lui le chiese se le sarebbe piaciuto partire insieme, la settimana seguente, per una breve viaggio che aveva programmato da tempo.
Cloe sentì distintamente che quella proposta era troppo prematura, quasi inopportuna, ma era così tanto tempo che non era più felice e cominciava ad essere stanca di ripetersi che le occasioni della vita bisogna saperle cogliere e poi scoprirsi sempre incapace di farlo.
Furono mesi felici e assoluti.
Lui si mostrò fragile e sensibile e perdutamente bisognoso del suo affetto. Pareva che ne facesse uso come di una droga, che lo consumasse come l’aria, come il pane, che non ne avesse mai abbastanza, che ne andasse della sua stessa sopravvivenza, a non averla accanto. E nel contempo si mostrava incredibilmente generoso di sé, del proprio tempo, dedito a lei come si è dediti ad un voto, ad una missione.
La circondò di una rete invisibile di affetto, di bisogni, di dipendenza, di promesse. Una rete fitta, quasi impenetrabile.
Fu una mattina qualsiasi, gironzolando sul social senza una ragione, che Cloe si rese conto di non vedere le proprie amiche da molto, troppo tempo.
Organizzò una bella rimpatriata per la sera stessa. Quando, tutta entusiasta, lo comunicò a lui che rientrava a casa, quasi a farlo partecipe della bella serata che le si preannunciava, lo vide accasciarsi sul divano come spezzato in due da un dolore insopportabile. Tra le lacrime le raccontò di avere gravissimi problemi di lavoro, di essere davvero in crisi, di aver particolarmente bisogno di lei e quella sera più ancora delle altre.
Finì per chiederle di non andare.
Di fronte a quella richiesta, qualcosa in lei si ribellò e quasi la costrinse a decidere di uscire ugualmente, nonostante le suppliche.
Fu una serata di grande allegria. Le amiche curiose volevano sapere tutto della sua nuova relazione e più Cloe raccontava più si mostravano estasiate dalla singolarità di quest’uomo più unico che raro, innamoratissimo e sensibile, che lei descriveva vantandosi un po’.
Ma una sorpresa aspettava Cloe al suo ritorno a casa. La porta era bloccata con la catenella e per cercare di farsi aprire si trovò costretta a suonare più volte il campanello. Nessuno venne ad aprire.
Quando i vigili del fuoco sfondarono la porta per entrare in casa, lo trovarono riverso sul pavimento in stato di incoscienza circondato dai blister vuoti dei farmaci che aveva ingurgitato.
Cominciò il tempo dei sensi di colpa.
Cloe lo vegliò in ospedale con gli occhi rossi e insonni e quando fu dimesso continuò a domandargli perdono e poi ancora, per cento e più volte, di essere stata così superficiale e crudele, di non aver capito quanto grande fosse il suo bisogno di lei, quella maledetta sera.
Quella fu l’ultima volta che Cloe uscì da sola.
E si capisce, lui era così fragile, e poi era difficile aver bisogno d’altro, visto che lui pensava a tutto.
La gratificava, la faceva sentire importante, la sua dipendenza da lei, il suo amore totale. Le dava le vertigini.
Ma più la loro vita si rinchiudeva dentro questo recinto, più le pareti che li circondavano si alzavano, più il carattere di lui si faceva lunatico e imprevedibile e il suo umore diveniva altalenante. Alternava scatti di ira immotivata a momenti di grande dolcezza e questo in maniera così repentina, passando dall’uno all’altro stato d’animo con una tale facilità, che ormai Cloe aveva persino paura di parlare per non scatenare una reazione imprevista. Bastava un attimo di disattenzione, una trascuratezza da nulla, per precipitarlo nella prostrazione e nel timore di essere abbandonato. Una sciocchezza, come un attore guardato con un briciolo di interesse in più durante la visione di un film alla televisione, bastava a scatenare una crisi che durava due giorni.
Succedeva poi, che se mai Cloe trovava il coraggio di ribellarsi e di difendere le proprie ragioni, subito si trovava messe di fronte le proprie manchevolezze, la propria presunta freddezza, la propria irrimediabile aridità, le veniva rinfacciato lo scarso apporto alla vita comune e finiva assalita dai sensi di colpa. Si sentiva malvagia e insensibile, non degna di un uomo come quello, che poche donne hanno la fortuna di incontrare.
Col tempo le richieste presero ad aumentare sempre più, e a farsi strane. Le chiedeva di non sentire i suoi genitori, di vestirsi in un certo modo indicandole ogni particolare, dalle scarpe al colore del rossetto, di pronunciare, a richiesta, certe frasi e lei ubbidiva, felice e atterrita di accontentarlo, odiandosi e sentendo che non poteva fare a meno di compiacerlo. Poi, quando il suo malcontento cresceva e cominciava a pensare che forse sarebbe stato meglio per lei troncare tutto, lui arrivava a casa con un regalo, un mazzo di fiori, un libro, un pensiero. Sempre quello giusto, sempre indovinato. E tutto continuava a continuare.
Una sera, parlando del più e del meno, lui le accennò di un fratello del quale, fino a quel momento, lei non era mai venuta a conoscenza. Glielo descrisse come un uomo solo e fragile, a cui la vita aveva dato poco, che si sarebbe meritato molto di più e ancora nei giorni seguenti, senza una ragione, tornò più volte sull’argomento.
Poi un giorno, mentre erano abbracciati dopo l’amore, lui le fece la sua richiesta.
Le avrebbe presentato il fratello e lei, per amor suo, in nome della loro storia e di tutto quello che lui aveva fatto per lei, ci sarebbe andata a letto. Lo avrebbe fatto come un atto d’amore e d’altruismo e come un gesto di bontà, nei confronti di una povera persona sfortunata. Si trattava pur sempre di suo fratello in fondo, non di un estraneo. Sarebbe stato un poco come stare con lui.
Fu troppo.
Cloe si atterrì, pianse, urlò, minacciò di andarsene. E anche lui pianse, urlò, si atterrì. Si mostrò ferito e stupito e addolorato e offeso da quel rifiuto e lo fece in maniera così intensa che lei quasi si spaventò, tanto traspariva, quasi fisicamente, il suo dolore.
Qualche giorno dopo, senza preavviso, lui si presentò a casa con un uomo che gli assomigliava vagamente, di qualche anno più anziano.
Cenarono insieme in un silenzio surreale.
Poi arrivò il momento in cui l’ultimo boccone fu inghiottito e l’ultima forchetta fu posata.
Cloe vide il suo uomo alzarsi da tavola, guardarli entrambi, mettersi la giacca e uscire.
Vide sé stessa camminare verso la stanza da letto e attendere che quell’estraneo fosse di fronte a lei, completamente nudo.
Sentì il suo odore sconosciuto, lo sentì sussultarle dentro, ebbe il viso scaldato da suo alito e il ventre inondato dal suo seme.
Quando lui rientrò la trovò ancora seduta sul letto con un lenzuolo sulle spalle. Lei non ebbe nemmeno il tempo di guardarlo che lui, con un singhiozzo, le si gettò ai piedi piangendo.
E le baciò le mani, le ginocchia, i capelli, la ringraziò dieci, cento, mille volte, le chiese scusa e subito le domandò di raccontargli tutto, nei particolari.
Una volta.
Due volte.
E ancora e ancora.
E mentre lei si sentiva raccontare balbettando, lui non smetteva un solo istante di piangere e straziarsi i vestiti e domandarle di ricominciare.
Era quasi mattina quando lei si addormentò. Sognò di essere bambina e di essere stata lasciata sola dalla madre. Di essere cattiva, sporca e di essersi meritata la propria punizione.
La svegliarono le urla e un vociare confuso in strada.
Un mal di testa terribile le trafiggeva le tempie.
La finestra era aperta e lui era lì, in basso, in mezzo ad una macchia rossa, larga e frastagliata sopra al marciapiede.
Cloe si fece una lunga doccia, prese un analgesico con un sorso d’acqua, si vestì e aspettò che bussassero alla porta.
Era come se una luce eccessiva di colpo la accecasse e la rendesse incapace di vedere qualsiasi cosa, lì all’esterno del cerchio.
Ma il cerchio era rotto, questo lo sentiva bene, e lei ora si trovava fuori, ferita e libera di muoversi.
Ora non restava che camminare.
Tutto il tempo necessario, fino a trovare un posto dove per vivere non serviva chiedere perdono.