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“Quello che le sta minando la salute, caro signor Claggart, il suo problema di base, se così vogliamo dire, è di natura squisitamente psicologica. Lei è roso dalla consapevolezza della profonda ingiustizia che regna nel mondo. Il suo valore non viene per lo più riconosciuto e persone che non hanno niente di più di lei prosperano e hanno ogni sorta di vantaggi. Si accompagnano a donne bellissime, possiedono tutto ciò che lei non può permettersi e se la spassano, se mi consente il termine, senza ritegno.”
Mister Claggart ascoltando queste parole ebbe un moto di commozione che si tradusse in una sorta di singulto rumoroso.
“Per questa ragione io ritengo che lei sia reclutabile nel nostro programma di recupero e rinforzo. Attraverso i vari step previsti noi medicheremo questa sua ferita, la consoleremo e la faremo guarire. Quando uscirà di qui sarà un uomo nuovo.”
Il signor Claggart ebbe il desiderio quasi incontrollabile di mettersi a piangere e di abbracciare il dottor Klein.
“Tra l’altro, per sua fortuna, lo straordinario successo del nostro metodo ci ha consentito di abbassare di molto il prezzo del pacchetto. Troverà la nostra offerta decisamente interessante e sicuramente alla sua portata.”
“Mi ha convinto. Anzi, lo so che adesso mi prenderà per una persona infantile e impaziente, ma vorrei chiederle se non ci sarebbe per caso modo di iniziare subito.”
Il medico sorrise flebilmente.
“Passi dall’ufficio commerciale a firmare il contratto e regolare la parte economica, signor Claggart. Io l’aspetto davanti all’ambulatorio B tra mezz’ora.”
La stanza in cui il dottor Klein fece accomodare il nuovo paziente era in lieve penombra. La poltrona era comoda e aveva uno schienale morbido e appena reclinato.
Il programma durò circa un’ora. Una serie di immagini a colori in veloce sequenza scorreva su un grande schermo a cristalli liquidi. Un leone dall’aspetto imponente catturava una gazzella, la finiva con facilità e poi la divorava con il muso intriso di rosso. Seguiva l’immagine della carcassa di un leone, forse lo stesso, che giaceva nell’erba pasto di sciacalli e avvoltoi. Elvis cantava sul palco di fronte alla folla in visibilio, si faceva largo verso la Limousine tra le fans che si strappavano i capelli tenute a bada a malapena dal servizio d’ordine e infine sfatto e obeso guardava tristemente la telecamera in una delle ultime apparizioni. Christopher Reeve volava nel cielo nei panni dell’uomo d’acciaio, baciava la sua Lois e nell’immagine seguente stava inchiodato sulla sedia a rotelle con il mento puntellato. Lo splendore del matrimonio di Diana sfumava nelle immagini dei rottami dell’auto distrutta nel sottopasso.
Il paziente stava cominciando a percepire una sorta di strano e crescente benessere quando la luce si accese e le immagini cessarono.
“Per oggi può bastare così.”
“Ma…”
“Niente obiezioni, la prego. Lasci fare a chi ha esperienza nel campo.”
Rincasando il signor Claggart incrociò lungo il viale l’auto nuova di Abel Budd. Dove quel grandissimo stronzo trovasse i soldi per condurre un simile tenore di vita era un mistero. Ma non era solo questo a rendergli il vicino così indigesto. Il figlio Billy, compagno di classe del suo, lo superava immancabilmente sia nel rendimento scolastico che nelle competizioni sportive e quell’anno era stato scelto come titolare della squadra di basket della scuola. Eppure Claggart quella volta non si limitò a provare, incontrandolo, la solita sofferenza sorda e senza rimedio.
Il pensiero, che gli sorse istantaneo, dell’auto nuova fiammante che usciva fuori strada e si accartocciava intorno ad un palo, il rumore dello schianto, la visione dei vetri infranti e il suono ininterrotto del clacson che gli sembrava gli arrivasse alle orecchie come fosse vero, gli diedero un insperato e immediato sollievo. Per quel che riguarda Billy fu altrettanto automatico immaginarlo infortunato, con una gamba rotta in panchina, mentre suo figlio, subentratogli, segnava un canestro dopo l’altro.
Rientrò a casa, per la prima volta dopo anni, quasi di buon umore.
La seconda seduta consistette nella visione di una lunghissima carrellata di filmati di uomini e donne bellissimi, per lo più modelli e modelle, che sfilavano al culmine del loro successo. Dopo un’ora che le immagini scorrevano senza sosta il malessere nello spettatore-paziente s’era fatto quasi fisico. Era quasi giunto al suo culmine quando sullo schermo avevano preso a sfilare i backstage delle riprese. I bellissimi erano colti in pose ridicole e imbarazzanti, i trucchi di scena svelavano come venissero celati e mascherati i difetti fisici, una voce fuori campo mostrava l’uso dei programmi di ritocco, dei tacchi mascherati, delle luci sapienti. Una catarsi selvaggia e completa che lasciò Claggart raggiante e sfinito.
Le restanti quattro sedute furono dello stesso tenore: un documentario sulle disgrazie personali dei divi dello sport e delle loro famiglie, un programma sull’abuso di droghe e alcol da parte delle star del rock, una cronistoria dettagliata e feroce degli amori infelici dei premi nobel e degli intellettuali e, per ultimo, l’interminabile elenco di tutti i suicidi famosi completo di particolari macabri e agghiaccianti.
In occasione della settima seduta, invece di essere condotto nella solita sala di proiezione, Claggart trovò il dottor Klein ad attenderlo alla scrivania.
“Allora signor Claggart, vuol raccontarmi come si sente?”
“Io, io sto abbastanza bene, grazie.”
“Cerchi di essere più preciso, per piacere. Come si sente nei confronti dell’ingiustizia del mondo nei suoi confronti? Si sente più forte? Si sente maggiormente in grado di sopportarla? O le sembra che non sia cambiato nulla?”
“Io, dottore, per essere sincero, ho capito bene, nel senso che sento, ecco, al contrario di prima, anche con il sentimento, intendo, non solo con la ragione, mi capisce, che nessuno può dirsi fortunato veramente…”
“Molto, molto bene…”
“…ora sono in attesa della soluzione, ecco, me la aspetto nel corso delle prossime sedute di trattamento, perché, ora come ora, ad essere sincero, io non so più che pesci prendere.”
“In che senso scusi? Il suo problema è risolto, mi sembra. Lei è più forte, ha capito che la gloria del mondo è quasi sempre finta, di cartapesta e che lei non è più sfortunato degli altri anche quando le apparenze sembrano suggerire il contrario. Il trattamento finisce qui. E con pieno successo, direi.”
“Come? Come sarebbe a dire, scusi? Lei starà scherzando spero! E io adesso come faccio? Senza nessuno da invidiare mi sento un disadattato! Guardo le pubblicità, i film, le riviste e vedo solo lo squallore del genere umano. Non desidero più comprare nulla, possedere nulla, ridotto così che ci faccio a questo mondo?”
“Ma… io non capisco. Che voleva dunque? Rimanere com’era? Passare la sua vita a soffrire per chiunque avesse più di lei?”
“No, no certo. Io vivevo male, malissimo, se no non sarei venuto qui. E li odiavo eccome tutti quelli là, avrei voluto vederli morti, ovvio che sì, avrei voluto eliminarli, ma, ma per essere al loro posto, come fa a non capire? Per essere io l’invidiato! E’ bello essere invidiati. Se uno è veramente glamour, se ha fascino, il mondo lo invidia. Se non c’è nessuno che ci invidia vuol dire che non siamo niente, non abbiamo niente, non valiamo niente!”
“Ma a pensare così lei non potrà mai essere felice!”
“Felice? Ma che vuole che mi freghi di essere felice? Io voglio essere ammirato, invidiato! Lei mi ha tolto dal cuore il desiderio delle cose che piacciono al mondo. Ha sminuito ai miei occhi tutto quel che avrei voluto essere. Ora me lo dice che ci faccio della mia vita? Perché vado a lavorare, cosa compro, come mi vesto, a cosa ambisco, a chi assomiglio? Me lo dica lei che cosa può fare uno come me, là fuori!”
“Io, io sono confuso, non mi è mai capitato un caso così, dovrò discuterne con i miei colleghi…”
“E lo credo bene! E sbrigatevi anche, a discuterne, se non volete trovarvi in serissimi guai giudiziari! Nel caso non ve ne foste accorti con i vostri sistemi voi producete antisociali, emarginati, soggetti che non possono più stare a questo mondo normalmente! E lo capirà bene il giudice, sa? Oh sì che lo capirà! Basterà spiegargli come mi avete ridotto: senza più modelli da imitare né traguardi da raggiungere né oggetti a cui ambire, per cui lottare, da desiderare e finalmente acquistare, magari a rate e poi sfoggiare! E per voi saranno guai seri mi dia retta! Non la invidio proprio, caro il mio dottore, se non si sbriga trovare un rimedio! Oh no! Non la invidio proprio per niente!”