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Maledetta diletta
maledetta
che porti la mia voce
come un ornamento folle
ai tuoi capelli.
Io che staccavo il gozzo
dall’ormeggio all’alba e nell’alba
andavo a pesca di suoni
luccicanti come carpe e vivi
come gli schiaffi disperati
dei cavedani
morenti in fondo al cesto.
Da lì -il vento ti affiorava
le gambe da una sindone
a fiori tremula al ginocchio-
ho preso a disertare il lago
e poco alla volta i pesci
hanno scordato la mia bocca.
Ai suoni ho preferito i pomeriggi
che promettevano
i tuoi capezzoli grandi
e rosa e l’infelice gioia dell’attesa
e l’entusiasta malinconia d’averti
e poi l’attesa ancora
che si pretende vita.
Ora la notte ti seguo diletta
maledetta
e a tratti sento l’acqua
smuoversi di fuori e i piccoli tonfi
delle parole impronunciate
fino ad addormentarmi all’alba
alla tua destra
come si conviene
ad un mammifero mortale.